domenica 28 dicembre 2008

"Saper ascoltare"


Vi è mai capitato di aver pensato che una certa persona non sapesse proprio ascoltare o di esservi accorti - solo in un tempo successivo - che qualcuno vi stava comunicando qualcosa di molto importante a cui voi non avete saputo prestare attenzione? Oppure di prevaricare in continuazione sull’altro, alzando la voce senza fermarvi ad ascoltarlo?




Credo sia banale ricordare che l’ascolto è una relazione imprescindibile tra gli esseri umani, capace di promuovere l’incontro, il contatto e la crescita personale; l’ascolto offre la possibilità del confronto e di vedere oltre il proprio orticello. Esso è la qualità principale di ogni colloquio, non solo di quello psicologico. D’altro canto, non è altrettanto banale la conoscenza dei principi basilari dell’ascolto.




Ascoltare è un’azione intellettuale ed emotiva, significa cogliere pienamente quello che la persona vuole dire con le parole e con il corpo.




Possiamo riassumere le tipologie dell’ascolto a tre tipi principali:




l’ascolto passivo: si ha quando il ricevente non invia nessun feedback al proprio interlocutore: si limita ad udirlo e basta, le parole entrano in un orecchio ed escono dall’altro. Questa modalità non solo lascia deluso l’emittente ma non permette di cogliere gli aspetti essenziali dell’altro;



l’ascolto selettivo: si verifica quando il ricevente seleziona le informazioni che l’emittente invia, recependo quelle che ritiene, in qualche modo, interessanti e scartando il rimanente. In tal modo una parte importante del contenuto andrà perduta per sempre;



l’ascolto attivo: è l’unico che porta ad una comunicazione efficace. E’ un ascolto che crea contatto nel qui ed ora, restituisce un feedback su quello che si è appena ascoltato, evita il giudizio e coglie i contenuti e tutte le sfumature (verbali e non verbali) della comunicazione. L’ascolto attivo richiede la capacità di ascoltare l’altro pienamente.




Impariamo ad ascoltare se sappiamo afferrare in pieno quanto l’altro sta dicendo manifestando di averlo compreso con riformulazioni, se riusciamo a sottolineare gli aspetti più salienti e significativi e rispettiamo le pause dell’altro, se non imponiamo il nostro stile comunicativo ma siamo capaci di adattarci allo stile dell’altro, se evitiamo di fare domande su domande ma ci dedichiamo ad approfondire un tema alla volta, se nell’ascolto riusciamo ad essere noi stessi. Tutto questo fa davvero la differenza tra l’ascolto di una persona e quello del più tecnologico supporto di registrazione.




Le dimensioni cruciali dell’ascolto (3V+B)




Ivey e altri ricercatori hanno studiato che la capacità di prestare attenzione ed ascolto è costituita da quattro dimensioni cruciali, che sono il primo scalino per tutte le altre tecniche di ascolto attivo. In breve, per comunicare che si sta realmente ascoltando e prestando attenzione all’altro sono necessarie le tre “V” più un linguaggio corporeo che dimostri attenzione “+B” (Ivey, Normington, Miller, Morril e Haase, 1968). Le riporto così come sono espresse dagli autori citati:




  1. Contatto Visivo (Visual Contact). Se sta per parlare con delle persone le guardi.

  2. Tono della voce (Vocal quality). Anche il tono di voce ed il ritmo nel parlare indicano chiaramente come lei si sente verso un’altra persona. Pensi in quanti modi può dire: “Sono davvero interessato a ciò che ha da dire” cambiando semplicemente il tono della voce ed il ritmo del discorso.

  3. Aderenza verbale (Verbal tracking). Il cliente [ndr: qui si parla di counselling, ma cliente può essere inteso anche come l’amico, il familiare, il/la compagno/a o semplicemente l’altro] è venuto da lei con una sua preoccupazione. Non cambi argomento; rimanga aderente alla storia del cliente.

  4. Linguaggio corporeo che dimostri attenzione ed autenticità (Body language). I clienti sanno che lei è interessato se si pone di fronte a loro apertamente, se si inclina leggermente in avanti, se ha un viso espressivo e usa dei gesti incoraggianti e facilitanti. In breve, sia se stesso – l’autenticità nell’ascolto è essenziale.”

Quali sono gli errori da evitare?




Una serie di errori possono pregiudicare la funzionalità di una comunicazione efficace, questi errori sono stati individuati da T. Gordon, un importante studioso della comunicazione e teorico dell’ascolto attivo. Gli errori da evitare secondo Gordon sono:




  1. Ordinare, comandare, esigere;

  2. Avvertire, minacciare;

  3. Far la predica, rimproverare, dire cosa si deve o non si deve fare;

  4. Consigliare, offrire soluzioni o suggerimenti;

  5. Redarguire, ammonire, fare argomentazioni logiche;

  6. Giudicare, criticare, disapprovare, biasimare;

  7. Apprezzare, concordare, dare valutazioni positive;

  8. Definire, stereotipare, ridicolizzare;

  9. Interpretare, analizzare, diagnosticare;

  10. Rassicurare, mostrare comprensione, consolare, incoraggiare;

  11. Fare domande, indagare, mettere in dubbio, controinterrogare;

  12. Eludere, distrarre, fare del sarcasmo, fare dello spirito, cambiare argomento.



Inoltre, Gordon fa osservare che queste barriere alla comunicazione contengono sempre il pronome “tu”, Tu sei così …” “Tu non l’hai fatto …” “Tu dovresti comportarti diversamente …” con il risultato che l’altro non si sente accolto ma disconfermato. I messaggi-Tu esprimono un giudizio su chi ascolta. I messaggi-Io, invece, palesano un sentimento di chi parla, vi è un “assunzione di responsabilità” che decodifica uno stato di fatto e che predispone ad un confronto di crescita tra gli interlocutori.


Qualche consiglio pratico:



  • Tenere un buon grado di contatto oculare. Seppure possono esistere differenze culturali, va considerato che nella cultura europea e nordamericana il contatto oculare diretto è considerato un segno di interesse, se però si notano imbarazzo e disagio può essere importante evitare il contatto oculare troppo diretto e distogliere lo sguardo per non sembrare invadenti. In tal modo potremo anche notare che se l’emittente parla di un argomento particolarmente interessante, le sue pupille tendono a dilatarsi o, al contrario, a contarsi se lo ritiene noioso.

  • Anche la voce comunica emozioni, i cambiamenti di tono, volume e velocità possono segnalare cambiamenti importanti ad esempio: esitazioni e interruzioni possono indicare confusione e stress, schiarirsi la voce può significare che le parole non vengono fuori facilmente. Se alcune parole sono enfatizzate quasi sicuramente avranno a che fare con temi significativi e rilevanti per quella persona.

  • La nostra postura, se seduti, va orientata, protesa verso l’interlocutore, se in piedi possiamo avvicinarci. Sarà importante anche notare come cambia la postura nell’altro, se è protesa in avanti denota interesse, se si tira indietro noia o spavento.

  • Prestare attenzione alle nostre espressioni facciali perché queste possono sottolineare interesse o noia.

  • Di tanto in tanto annuire col capo, dire “capisco”, “certo”, “comprendo” etc, perchè fornisce all’interlocutore chiari segnali di ascolto.

  • Di tanto in tanto riassumere, con parole proprie, ciò che è stato detto: “se comprendo bene stai dicendo che…”, “vuoi dire che…”.

  • Fare domande aperte e non chiuse, domande cioè che lasciano spazio di espressione al nostro interlocutore.

  • Anche le pause e i silenzi sono importanti, se la persona è a suo agio nel silenzio, è importante rimanere uniti nel silenzio, se, invece, si percepisce imbarazzo o disagio può essere importante fare una domanda o un commento su qualcosa di significativo detto appena prima.

  • Essere se stessi, non mascherarsi, non compiacere ad ogni costo ma lasciar andare il nostro ascolto a tutto ciò che c’è di profondamente umano nell’altro.

  • E’ importante anche imparare ad ascoltare noi stessi e le nostre emozioni mentre si ascolta l’altro, è in questo modo che saremo empatici.

***



Ascoltare attentamente permette di costruire legami significativi con gli altri, è un’abilità sociale (Goleman, 1998), aumenta l’autostima e la fiducia in se stessi, si impara a conoscere più approfonditamente gli altri, questi ultimi si sentiranno sostenuti e sicuri di esplorare i loro sentimenti ed esprimere le loro idee in nostra presenza. L’ascolto crea un clima di fiducia, di rispetto e di comprensione tra le persone, mentre il non sapere ascoltare può influire negativamente sulla qualità delle nostre relazioni, lasciandoci con sensazioni di inquietudine e di vuoto.



E’ necessario anche considerare che le nostre peculiarità nell’ascolto sono condizionate dai modelli appresi quando si era bambini, dalle figure significative del nostro ambiente e dalle nostre decisioni di copione. Per prendere consapevolezza di questi aspetti, e poter attuare il cambiamento che si desidera, può essere illuminante effettuare un percorso di psicoterapia.



Un ultimo e prezioso suggerimento può essere quello di ascoltare spesso della buona musica, perché, come sostiene il grande maestro Claudio Abbado:




è la musica che insegna ad ascoltare, se si ascolta, s’impara.


Bibliografia:

Ivey, A.E. & Bradford Ivey, M. (2004). Il colloquio intenzionale e il counselling. Las, Roma


Ivey, A., Normington, N., Miller, D., Morril, W., & Haase, (1968). Microcounselling and attending hehavior: An approach to pre-practicum counsellor training. Journal of Conseling Psycology, 15, 1-12.


Goleman, D. (1998). Emotional Intelligence: Why it can matter more than IQ. New York: Bantam.

Gordon, T. (1993). Insegnanti efficaci, Giunti Lisciani Editori.


Scilligo P.,(1991-1992-1993). Io e tu. Parlare, capire e farsi capire, vol. 1,2,3, Roma: IFREP.









lunedì 8 dicembre 2008

"Una psicobufala a caso: quando vai dallo psicologo devi sdraiarti sul lettino”.




Il titolo del post nasce dalla lettura di un libro: “Psicobufale. Dall’Anoressia alla Zoofobia, come difendersi dalle balle raccontate dai media e continuare a credere nella psicologia”, scritto con ironia e professionalità da Silvia Bianconcini*, Psicologa Psicoterapeuta. Nel libro l’autrice raccoglie una serie di informazioni distorte sulla psicologia e ci invita a diffidarne e a districare la verità. Così scriveva nel 2005 la collega Silvia Bianconcini:

Faccio parte della nutrita schiera degli strizzacervelli. Non so, viste le psico-sciocchezze che si sentono da tutte le parti, se io debba andarne fiera. Fatto sta che più faccio questo mestiere e più mi piace. Perché non ha granché in comune con quel che si dice in giro. E allora che facciamo di tutte le psico-corbellerie da cui siamo circondati? Io una modesta proposta ce l’avrei: le piazziamo in questo blog!”.
Da qui la nascita del suo blog: http://psico-bufale.splinder.com/ Dai contenuti più efficaci del blog nasce il libro, edito da Rizzoli.

Dopo averlo letto con attenzione, seleziono qui una psicobufala a caso: “quando vai dallo psicologo devi sdraiarti sul lettino”. Infatti, occorre sapere che il lettino non è affatto una caratteristica obbligatoria della stanza di uno psicologo. L’autrice informa che vi sono molti psicologi che usano due poltroncine, una per il paziente e una per il professionista, altri ancora si siedono dietro una scrivania. In breve, il lettino è una generalizzazione non corretta, che, come afferma la Bianconcini, sa più di leggenda metropolitana piuttosto che corrispondere ad una realtà, che è invece più variegata. La ragione più fondata per la quale si utilizza il lettino è la facilità di regressione allo stadio infantile evocata dalla posizione sdraiata: così come il bambino ha poca libertà di movimento e autonomia nelle decisioni, anche il paziente - sul lettino - ha meno libertà di movimento e campo visivo dell’analista, seduto alle spalle del paziente. Ma al di fuori di questa importante considerazione, è completamente infondata l’equazione “psicologi = lettino sempre e comunque”. Come scrive l’autrice: “se entrate nello studio di uno psicologo e non trovate il lettino non stupitevi, non pensate di aver sbagliato indirizzo, non mettetevi a temere che sia uno psicologo di serie B. E’ molto semplice: lui non lo usa, e basta.”.

Consiglio la lettura del libro, esso è utile per avere una visione più realistica del mondo della psicologia e poterne, pertanto, usufruire in modo più informato e senza timori irrazionali. Di seguito si potranno leggere i titoli di altre psicobufale trattate nel libro e in continuo aggiornamento nel blog..

* Silvia Bianconcini, vive e lavora a Imola, ha creato e cura personalmente anche il sito: http://www.psicologia-imola.it/


SOMMARIO
INTRODUZIONE:
Psicobufale: leggende metropolitane sulla psicologia (e sugli psicologi)
Psico-cosa?
"Dallo psicologo funziona come dal medico"
PSICOBUFALE:
A come Anoressia
B come Buoni consigli
C come Curare
D come Depressione
D come Dire tutto
E come Euro-dipendenza
F come Follia
G come Gesti
H come High-tech
I come Inconscio
L come Lettino
L come Lettura del pensiero
M come Medicine
N come Novità
O come Omosessualità
P come Pensieri degli altri
Q come Quarantenni
R come Ricordi traumatici
S come Sogni
S come Sostenibilità della terapia
T come Test psicologici
U come Uguale
V come Voci
Z come Zoofobia

CONCLUSIONI