sabato 27 maggio 2017

Perchè non dovremmo ignorare la serie TV "Tredici"



La serie TV “Thirteen Reasons Why” disponibile su Netflix, il cui titolo, in italiano, è stato tradotto semplicemente con “Tredici”, ha recentemente scatenato un acceso dibattito, sfociato in un numero crescente di telefonate ai servizi di consulenza da parte di persone preoccupate che la scena del suicidio potesse rappresentare un pericolo per gli adolescenti vulnerabili.

Alcuni si sono lamentati perché il suicidio è stato rappresentato in modo troppo semplicistico come il risultato di una connessione di causa-ed-effetto. Altri hanno preferito considerarlo uno strumento educativo e un veicolo per aprire un dialogo.

Certamente, la serie suscita dei timori, come nella scena della rappresentazione esplicita del suicidio nell’ultimo episodio. Ma, nel complesso, la storia di Hannah, studentessa liceale che si è tolta la vita e ha lasciato 13 nastri dove ha spiegato il motivo di questo suo gesto, introduce molti argomenti realistici e attinenti all’universo adolescenziale.

La serie TV mostra una combinazione di comportamenti che associano problemi di salute mentale a una serie di condotte che hanno dato prova di poter influenzare la salute mentale di una persona giovane. Vi rientrano l’esclusione sociale, i pettegolezzi e le insinuazioni, il bullismo, i comportamenti sessuali deplorevoli, l’alcol e l’abuso di sostanze, la guida in stato di ebbrezza e la violenza sessuale.


La storia narra un groviglio di vicende di vita quotidiana: rapporti tra pari, amicizie, identità sessuale, dinamiche familiari, social media e, soprattutto, ambiente scolastico.

Le reazioni degli amici al suicidio di Hannah e la loro risposta alla sua descrizione del loro comportamento offre anche l’opportunità di discutere della diversità con la quale le persone si rapportano fra di loro e di come reagiscano gli uni agli altri.

Questioni sulle rappresentazioni televisive del suicidio

Sicuramente i media dovrebbero usare cautela quando scelgono di ritrarre il suicidio. La ricerca dimostra che rappresentare una modalità di suicidio e/o esaltare l’azione può, in alcuni casi, provocare un aumento considerevole di atti estremi. Tuttavia, i ricercatori suggeriscono anche che di solito esistono complicate problematiche di fondo associate alle ondate di suicidi (quando in una comunità avvengono una serie di suicidi per emulazione) [ndt: ‘Effetto Werther’].

Dimostrare il collegamento tra l’esposizione mediatica e il conseguente suicidio non è semplice, mentre la prova dell’impatto della rappresentazione televisiva del suicidio non è altrettanto forte come accade con un vero suicidio nella vita reale.

In Australia [ndt: l’autrice dell’articolo è australiana] i media seguono delle linee guida come quelle messe a punto da Mindframe. Queste riconoscono l’importanza di aumentare la consapevolezza del suicidio e dei comportamenti suicidari, ma richiamando alla prudenza nella rappresentazione del metodo.



In Australia, fiction televisive e film che mostrano il suicidio e si occupano di altri problemi di salute mentale forniscono, alla fine del programma, tutte le informazioni su dove cercare aiuto.

Anche se Netflix forniva tali informazioni sul suo sito web e un episodio supplementare che affrontava le questioni sollevate e le opzioni per chiedere aiuto, al termine di ogni episodio non forniva i dettagli su come cercare aiuto.

L’importanza della sensibilizzazione

È importante aumentare la consapevolezza e parlare di questioni di salute mentale, e certamente la serie “Tredici” è diventata un argomento di conversazione fra gli adolescenti. Ma parlarne non basta. Operatori sanitari e professionisti della formazione, così come i genitori, hanno bisogno di competenze per rispondere in modo adeguato a queste conversazioni.

Poiché la serie pone l’accento soprattutto sulla scuola, è importante che il personale scolastico – soprattutto il personale del servizio sanitario e gli insegnanti – si sentano sicuri nell’affrontare i problemi di salute mentale e le loro conseguenze. Questo non significa che gli insegnanti debbano diventare dei counsellor; ma che hanno bisogno di risorse e sostegno per consentire discussioni efficaci riguardo a tali questioni con gli adolescenti più grandi.

Sebbene alcuni potrebbero sentirsi a proprio agio a discutere di questi temi, degli studi rivelano l’esistenza di una serie di argomenti, come relazioni, identità di genere, bullismo e salute mentale, che possono essere difficili da affrontare/impegnativi e per i quali molti insegnanti hanno poca o nessuna formazione professionale.

Cercare aiuto

Anche il personale scolastico ha bisogno di servizi accessibili a cui indirizzare gli studenti in caso di necessità. La possibilità di avvicinarsi a infermieri scolastici, psicologi e guide spirituali varia notevolmente da scuola a scuola. Cambia anche l’accesso ai servizi di salute mentale della comunità. In alcune aree esistono servizi specifici che soddisfano le esigenze dei giovani LGBTI o delle minoranze linguistiche o culturali.

Benchè accedere ad aiuti in caso di problemi di salute mentale sia riconosciuto come fattore protettivo, non sempre ci si riesce. Gli atteggiamenti stigmatizzanti nei confronti dei problemi di salute mentale in Australia stanno migliorando, ma sono ancora evidenti.



Sappiamo anche che i ragazzi hanno meno probabilità di chiedere aiuto qualora la considerassero una scelta impopolare, e che possono essere influenzati da esperienze precedenti. Nella serie “Tredici”, Hannah ha cercato aiuto dal counsellor della sua scuola, ma i suoi sforzi sono stati ignorati. Il sig. Porter avrebbe potuto inviarla da uno specialista o dedicare più tempo nell’ascoltarla.

I giovani potrebbero esitare a chiedere aiuto anche qualora fossero convinti di potercela fare da soli. Quelli con pensieri suicidi sono meno propensi a cercare aiuto, pertanto si teme che essi possano accostarsi a programmi come “Tredici” come un'ulteriore validazione dei propri pensieri suicidari.

È importante migliorare l’alfabetizzazione sanitaria in modo che i giovani siano in grado di riconoscere i segni di un problema e di poter cercare aiuto in sicurezza e tranquillità. È anche importante che amici, familiari e le altre figure di riferimento che ruotano intorno all’adolescente imparino a riconoscere i segnali premonitori e incoraggino i ragazzi in difficoltà a cercare aiuto.

Tra questi segnali ci potrebbero essere il ritiro da attività generalmente piacevoli, disturbi del sonno o dell’appetito, l’essere insolitamente instabili, arrabbiati, stressati o ansiosi, la partecipazione a comportamenti rischiosi che di solito si evitano e l’espressione di pensieri negativi.

Se, come nel caso di Hannah con il counsellor, non si è ricevuto un aiuto significativo, occorre cercare altrove. Si dovrebbe agire prima possibile sui problemi e ci si dovrebbe focalizzare sulla prevenzione di esiti negativi. Come nella serie “Tredici”, troppo spesso gli interventi vengono eseguiti solo dopo che si è verificata una crisi. Occorre dare importanza ai programmi di prevenzione che considerano la complessità della salute mentale e includano strategie che si concentrano sull'ambiente e sul più ampio sistema di valori.

Dovresti guardarlo?

Netflix suggerisce la visione di “Tredici” ai ragazzi con un’età superiore ai 15 anni (MA15 +) [in Italia è VM 14] e l’Ufficio di classificazione della Nuova Zelanda ha recentemente valutato il programma come RP18 (adatto ai soli maggiorenni). I genitori preoccupati possono guardare il programma con i loro figli adolescenti e discutere con loro dei problemi salienti.

Tradotto e adattato da: The Conversation



Alcune help-line in Italia dove chiedere aiuto se si hanno pensieri suicidari 
o si è preoccupati per qualcuno:
 
Una delle più importanti help-line dedicate alla prevenzione del suicidio è quella creata all’interno dell’U.O.C. di Psichiatria dell’Azienda Ospedaliera Sant’Andrea di Roma, 
Linea PARLA CON NOI   063377.77.40
(dal lunedì al venerdì: dalle ore 9.30 alle ore 16.30)

***

#adessoparloio 
 è la chat di WhatsApp 3482574166, creata per rispondere al bisogno dei ragazzi vittime di bullismo, cresce per offrire un aiuto concreto e qualificato a giovani e famiglie. Nasce dalla collaborazione tra Casa Pediatrica ASST Fatebenefratelli-Sacco di Milano, Osservatorio Nazionale Adolescenza e Pepita Onlus focalizzando l’attenzione su una corretta informazione e su una risposta professionale dedicata. L’obiettivo è rimettere ordine: riportare al centro il valore educativo del dialogo e accogliere le paure dei ragazzi, ma anche rassicurare gli adulti affinché riacquistino il loro ruolo guida senza demonizzare la Rete. 
Comunicato in formato PDF.

***

Numero verde della De Leo Fund

una Onlus che dal 2007 si occupa di portare un 

aiuto concreto alle persone che hanno subito eventi luttuosi di carattere traumatico:  

Chiama il numero verde 800 – 168 678
disponibili da Lunedì a Venerdì
dalle 9.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 19.00

*** 

risponde 365 giorni all’anno attraverso i suoi 700 volontari che operano in 20 centri sul territorio nazionale. Il servizio è attivo in tutta Italia dalle ore 10.00 alle 24.00. numero unico 199.284.284
“Se sei in difficoltà, hai bisogno di aiuto perché stai vivendo un momento di particolare disagio e senti la necessità di parlarne con qualcuno, ma non sai con chi, puoi rivolgerti a noi. Troverai sempre un volontario pronto ad ascoltare le tue paure, le angosce, i dubbi e le ansie, senza giudicarle.”
“Esprimere il disagio può essere una strada utile per poter scoprire dentro di te la fiducia e le risorse necessarie per affrontare ogni problema. Ricordati, non sei solo: se vuoi parlarne, noi ti ascoltiamo.”

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lunedì 15 maggio 2017

Quale migliore definizione dei disturbi mentali potrebbe aiutare la diagnosi e il trattamento?



I disturbi mentali sono attualmente definiti sulla base del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM), in cui compare un elenco di centinaia di categorie diagnostiche distinte; un nuovo studio al quale abbiamo lavorato suggerisce, tuttavia, che esiste margine di miglioramento. 

Ciascuna categoria del DSM è corredata da una lista di controllo dei criteri. Qualora venisse soddisfatta una quantità “sufficiente” di tali criteri (spesso, poco più della metà), si rientra all’interno di quella determinata categoria diagnostica. Ad esempio, la lista di controllo per la depressione maggiore prevede un elenco costituito da nove sintomi: per ricevere una diagnosi, è necessario presentarne almeno cinque.

I disturbi elencati sul DSM forniscono etichette per aiutare i medici a comunicare riguardo ai loro pazienti, a indirizzare questi ultimi verso i programmi di trattamento e a fornire codici di fatturazione alle compagnie di assicurazione. Questi disturbi ci guidano nel modo in cui eseguiamo la diagnosi, trattiamo la malattia mentale e facciamo ricerca su di essa. Tuttavia l’intero sistema DSM contrasta con la natura della malattia mentale, che non può essere classificata in modo netto all’interno di contenitori. Pertanto, se si utilizzano le strette e rigide categorie del DSM sulle malattie mentali si ostacolano da una parte la diagnosi e il trattamento efficace, e dall’altra la creazione di una solida e accurata ricerca.

È chiaro che abbiamo bisogno di un modello alternativo per classificare la malattia mentale in grado di smembrare l’oggetto, seguendo le nervature naturali, invece di imporre, per la classificazione, categorie assolutamente artificiali.

Quando abbiamo creato la Tassonomia gerarchica della psicopatologia (HiTOP: Hierarchical Taxonomy of Psychopathology), pubblicata il 23 marzo, quello che ci proponevamo era di seguire l’analisi statistica dei dati degli studi esistenti fino ad oggi su come le persone vivono la malattia mentale. Cinquanta dei principali ricercatori che studiano la classificazione della malattia mentale si sono riuniti per dare una struttura all’HiTOP. Esso integra 20 anni di ricerca in un nuovo modello che supera molti dei problemi derivanti dal DSM.

Problemi che derivano dall’uso del DSM nella descrizione della malattia mentale.


Per esemplificare i problemi che possono scaturire dalla valutazione eseguita sulla base del DSM, consideriamo due pazienti ipotetici: James e John:

James si sente depresso. È ingrassato molto, ha difficoltà a dormire, spesso è stanco e ha problemi di concentrazione. Sulla base di questi sintomi, a James potrebbe essere diagnosticato un episodio depressivo maggiore.

John non si diverte più e si è allontanato dai suoi cari. Si sente “frenato” al punto tale da risultargli difficile anche muoversi, e non riesce più a svegliarsi la mattina. Fa fatica a prendere decisioni che riguardano la quotidianità. A causa di questi sintomi, recentemente ha perso il suo lavoro e successivamente ha tentato il suicidio. Anche a John, con tali sintomi, potrebbe essere diagnosticato un episodio depressivo maggiore.



John soffre di una depressione più grave e invalidante, inoltre, i suoi sintomi sono diversi da quelli di James. Queste importanti distinzioni tra di loro si perdono nel momento in cui vengono raggruppati e semplicemente etichettati come “depressi”.

La loro diagnosi potrebbe anche comparire o essere modificata facilmente per motivi che potrebbero non riflettere un cambiamento reale o significativo del disturbo mentale.

Diagnosi incerte con il DSM

Se, per esempio, John non avesse avuto difficoltà a svegliarsi la mattina presenterebbe solo quattro dei sintomi di depressione maggiore. Non avrebbe più soddisfatto i criteri necessari a ricevere una diagnosi. La soglia diagnostica arbitraria (ossia quella che necessita di cinque dei nove sintomi presenti sulla lista di controllo della depressione) comporta il fatto che John non potrà più accedere al trattamento coperto dalla sua assicurazione, nonostante l’impatto dei suoi sintomi sulla qualità della vita.


Inoltre, i confini tra i disturbi DSM a volte appaiono sfocati e non sempre è chiaro quale etichetta diagnostica si adatti meglio. Molti disturbi hanno liste di controllo simili fra di loro. Se, invece, James avesse riferito, ad esempio, anche una preoccupazione cronica e incontrollabile, oltre ai suoi sintomi di depressione - molto comuni - gli sarebbe stato diagnosticato un disturbo d’ansia generalizzato.

Molti dei limiti nel sistema DSM sono causati dal fatto che si affida su disturbi presumibilmente distinti da soglie arbitrarie (ad esempio, che necessitano di cinque dei nove sintomi). Queste caratteristiche del DSM sono stabilite dai comitati di esperti: a ogni nuova revisione, i comitati decidono quali disturbi debbano essere inclusi, la lista di controllo dei sintomi di ogni disturbo e il numero di sintomi necessari per una diagnosi.

L’affidamento ai comitati e ai processi politici ha portato a un sistema che non riflette la vera natura della malattia mentale. Le cose assumono un aspetto diverso se ci affidiamo ad un approccio empirico per fare una mappatura della struttura e dei confini della malattia mentale.

Seguire l'evidenza scientifica per descrivere la malattia mentale 

Dall’analisi dei dati su come le persone vivono i disturbi mentali, emergono pattern chiari sulle modalità in cui si co-verificano i disturbi. Ad esempio, chi è depresso probabilmente proverà anche ansia, mentre qualche giocatore compulsivo sarà, verosimilmente, afflitto anche dalla dipendenza da droga o alcool.

Questi tipi di pattern di co-occorrenze evidenziano le caratteristiche sottostanti comuni condivise dai gruppi di disturbi. Negli ultimi 20 anni, decine di studi hanno analizzato i modelli di co-occorrenza in decine di migliaia di esperienze di malattia mentale. Questi studi hanno trovato convergenza su sei larghi domini:
  1. Internalizzazione, che riflette una propensione verso emozioni negative eccessive, come depressione, ansia, preoccupazione e panico;
  2. Disinibizione, che riflette una predisposizione verso comportamenti impulsivi e imprudenti, e abuso di droga o alcol;
  3. Antagonismo, che è un misto di comportamenti aggressivi, sgradevoli e antisociali;
  4. Disturbi del pensiero, che comprende esperienze deliranti, allucinazioni o paranoia;
  5. Distacco, contrassegnato da scarsa iniziativa sociale e dal ritiro dalle interazioni sociali; e
  6. Disturbo somatoforme, definito da sintomi medici non spiegati e da ricerca eccessiva di rassicurazione e attenzione medica.
Ognuno di questi sei domini può essere misurato su una dimensione continua che rappresenta la probabilità che una persona possa sperimentare quei sintomi. Ad esempio, una persona che si trova in prossimità del margine minimo di internalizzazione probabilmente è emotivamente resiliente, calma e stoica di fronte alle avversità. Chi, invece, si trova al limite massimo potrebbe essere soggetto a profondi e prolungati periodi di depressione, a preoccupazione incontrollabile e a intensi timori irrazionali.

La posizione di una persona rispetto a queste dimensioni può prevedere non solo la salute mentale attuale, ma anche il tipo, il numero e la gravità dei disturbi mentali specificati in “stile-DSM” di cui soffrirà in futuro.

Osservare più da vicino la malattia mentale


La struttura HiTOP va oltre i sei ampi domini elencati sopra, essa include anche dimensioni più ristrette annidate all’interno di questi domini, che ci permettono di caratterizzare le esperienze delle persone affette da malattie mentali in modo più dettagliato.

Per esempio, la dimensione di internalizzazione comprende le dimensioni, più ristrette, di paura, disagio emotivo, disturbi del comportamento alimentare e bassi livelli di funzione sessuale. La misurazione di queste dimensioni più circoscritte permette una rapida comunicazione delle modalità in cui si palesa un alto livello di internalizzazione.

A loro volta, queste dimensioni più circoscritte possono essere separate in elementi ancora più dettagliati per determinare, ad esempio, se un livello elevato della dimensione della paura possa manifestarsi nelle interazioni sociali, come fobie oppure ossessioni o compulsioni.

Questa costruzione gerarchica della struttura - all’interno della quale le dimensioni ampie possono essere suddivise in dimensioni sempre più ridotte e più dettagliate - consentono un'elevata flessibilità alle esigenze dei medici e dei ricercatori. Le idee fondamentali della struttura dell’HiTOP sono già state attuate per rafforzare la ricerca sulla malattia mentale e sono pronte per essere utilizzate nella pratica clinica.

Un’alternativa migliore al DSM


Ritorniamo a James e John: piuttosto che valutare centinaia di sintomi sul DSM per determinare quale combinazione idiosincratica dei disturbi potrebbe essere assegnata per adattarsi meglio alle loro combinazioni di sintomi, possiamo valutare i sei vasti domini della malattia mentale, allo scopo di determinare rapidamente dove si trovano i due uomini su ciascuna dimensione.

Successivamente le dimensioni più dettagliate della struttura ci consentiranno di identificare i cluster più gravi o dolorosi della loro sintomatologia. Con la piena comprensione della natura, della portata e della gravità dei loro sintomi, possiamo indirizzarli ai trattamenti più appropriati ed efficaci disponibili.

La struttura gerarchica e dimensionale supera quindi i limiti della dipendenza del DSM su disturbi discreti “presenti o assenti” [ndr: sistema categoriale]: la struttura gerarchica ci permette di valutare e conservare informazioni dettagliate sui sintomi presentati dagli individui. La struttura dimensionale supera anche i limiti delle soglie di diagnostica arbitrarie del DSM, poiché è in grado di registrare la gravità della malattia mentale su ogni dimensione.

Viene inoltre superata la fragilità della classificazione dei disturbi secondo il DSM (cioè, che si possa determinare l’esistenza, l’inesistenza e la variazione della malattia mentale con soli piccoli cambiamenti nei sintomi). La remissione di un sintomo - o l’inizio di nuovi sintomi - varia semplicemente quando una persona si sposta nelle diverse dimensioni.

In conclusione, seguendo l’analisi dei dati dei pattern sintomatologici, vediamo un’immagine molto diversa dalle categorie di disturbi ricavate dai comitati di lavoro dei DSM. Questo nuovo quadro gerarchico e dimensionale è molto più coerente con la vera struttura della malattia mentale e può rivoluzionare il metodo in cui diagnostichiamo e trattiamo le molteplici modalità con cui le persone affrontano la propria salute mentale.
 

lunedì 8 maggio 2017

La correlazione tra maltrattamento animale e violenza interpersonale.


Oggi scelgo di pubblicare un video molto interessante sulla correlazione tra la violenza sugli animali e quella sull'uomo. 

Il video è stato girato al Veganfest del 2015, la relatrice è la dott.ssa Francesca Sorcinelli, Educatrice professionale/Presidente Link-Italia (APS), associazione italiana di specialisti della prevenzione, trattamento e contrasto della violenza interpersonale.   

"LINK nel linguaggio comune inglese significa legame, mentre in discipline quali psicologia, psichiatria, criminologia, scienze investigative, anglosassoni si connota come termine tecnico che sta ad indicare la stretta correlazione esistente fra maltrattamento e/o uccisione di animali e ogni altro comportamento violento, antisociale e criminale – omicidio, stupro, stalking, violenza domestica, rapina, spaccio, furto, truffa, manipolazione mentale, ecc." (dirittianimali.eu)

La dott.ssa nel video spiega in estrema sintesi e con professionalità questo legame. Buona visione.



mercoledì 26 aprile 2017

Perché la perdita di un cane può essere più difficile della perdita di un parente o di un amico.



Recentemente, io e mia moglie abbiamo attraversato una delle esperienze più strazianti della nostra vita - l'eutanasia della nostra amata cagna, Murphy. Ricordo il momento in cui io e Murphy ci siamo guardati negli occhi prima del suo ultimo respiro - lei mi ha lanciato uno sguardo, un affettuoso mix di confusione e rassicurazione, tutto era ok perché eravamo entrambi al suo fianco.

Quando le persone che non hanno mai avuto un cane, vedono gli amici, proprietari di cani, piangere la perdita di un animale domestico, probabilmente pensano che si tratti di una reazione eccessiva; dopo tutto, è “solo un cane”.

Tuttavia, coloro che hanno amato un cane conoscono la verità: il vostro animale domestico non è mai “solo un cane”.

Spesso ho ricevuto confidenze da amici che si sentivano in colpa perché erano molto più addolorati per la perdita di un cane che per la perdita di amici o parenti. La ricerca ha confermato che per la maggior parte delle persone, la perdita di un cane è, sotto ogni punto di vista, quasi sempre paragonabile alla perdita di una persona cara umana. Purtroppo, nei nostri schemi culturali non c’è molto a riguardo – non vi sono rituali per il dolore, nessun necrologio sul giornale locale, nessuna funzione religiosa – che potrebbe aiutarci a superare la perdita di un animale domestico, e farci sentire un po’ meno in imbarazzo nel mostrare pubblicamente il forte dolore provato per la loro morte

Forse, se la gente capisse quanto sia forte e intenso il legame tra le persone e i loro cani, questo dolore sarebbe accettato più ampiamente. Tutto questo sarebbe di grande aiuto per i proprietari di cani, permettendo loro di integrare il lutto nella propria storia di vita e di guardare al futuro. 

Un legame interspecie come nessun altro

Cosa si trova esattamente nei cani da rendere così stretto il legame degli esseri umani con loro? 

Per cominciare, i cani hanno dovuto adattarsi a vivere con gli esseri umani nel corso degli ultimi 10.000 anni. E l'hanno fatto molto bene: sono gli unici animali ad essersi specificatamente evoluti per essere nostri compagni e amici. 
L'antropologo Brian Hare ha sviluppato l’ “ipotesi della domesticazione” [ndr: ipotesi dell’autodomesticazione] per spiegare come i cani si siano trasformati, a partire dai loro antenati lupi grigi, in animali socialmente qualificati, a tal punto che ora interagiamo con essi in modo assai simile a quello in cui interagiamo con altre persone. 

Forse uno dei motivi per cui i nostri rapporti con i cani possono essere ancora più soddisfacenti rispetto ai nostri rapporti umani, è che i cani ci forniscono un feedback positivo davvero acritico e incondizionato (come dice un vecchio proverbio, “Possa io diventare il tipo di persona che il mio cane pensa che io sia già”).

Questo non è un caso. Essi sono stati selezionati per generazioni allo scopo di prestare attenzione alle persone, scansioni di risonanze magnetiche (MRI) mostrano che i cani rispondono alle lodi dei loro proprietari in modo altrettanto forte a come fanno in risposta al cibo (e per alcuni cani, la lode è un incentivo ancora più efficace del cibo). I cani riconoscono le persone e possono imparare a interpretare gli stati emotivi umani dalla sola espressione facciale. Studi scientifici indicano anche che i cani sono in grado di comprendere le intenzioni umane, riconoscono le persone che cercano di aiutare i loro proprietari ed evitano quelle che non cooperano con essi o che non li trattano bene. 

Non sorprende che gli esseri umani rispondano positivamente a tale affetto incondizionato, al loro sostegno e fedeltà. Alle persone basta osservare i cani per sorridere. I proprietari di cani hanno un punteggio più alto sulle scale di benessere e sono più felici, in media, rispetto alle persone che possiedono gatti o che non abbiano animali. 

Come un membro della famiglia

Il nostro forte attaccamento ai cani è stato sottilmente rivelato in un recente studio di “misnaming”. Il misnaming accade quando si chiama qualcuno con il nome sbagliato, come quando i genitori chiamano erroneamente uno dei loro figli con il nome di un fratello. La ricerca ha scoperto che le persone scambiano il nome dei membri della famiglia umana con quello del cane di famiglia, ciò indica che il nome del cane di famiglia appartiene allo stesso pool cognitivo degli altri membri della famiglia. (Curiosamente, la stessa cosa accade raramente con i nomi dei gatti). 

Non c'è da stupirsi che i proprietari di cani soffrano così tanto la mancanza dei propri cani quando non ci sono più. 

La psicologa Julie Axelrod ha fatto notare che la morte di un cane è così dolorosa perché i proprietari non perdono solo un animale. Essa può rappresentare la perdita di una fonte di amore incondizionato, un compagno fondamentale che offriva sicurezza e comfort, e forse anche un protetto di cui si è stati il mentore come per un bambino. 

La perdita di un cane può anche sconvolgere gravemente la routine quotidiana di un proprietario più intensamente che la perdita della maggior parte degli amici e parenti. Per i proprietari, i programmi giornalieri - anche i loro piani per le vacanze - possono ruotare intorno alle esigenze dei loro animali domestici. I cambiamenti nello stile di vita e di routine sono alcune delle fonti primarie di stress.

Secondo una recente indagine, molti proprietari di animali in lutto interpretano erroneamente suoni e avvistamenti ambigui, con i movimenti, ansimi e guaiti del pet defunto. E’ più probabile che questo accada poco dopo la morte dell'animale domestico, in particolare tra i proprietari che avevano livelli molto elevati di attaccamento ai loro animali domestici.

La morte di un cane è terribile, ciò nonostante i proprietari di cani sono così abituati alla presenza rassicurante e non giudicante dei loro compagni canini che, il più delle volte, alla fine, prenderanno un altro cane. 

Quindi sì, mi manca il mio cane. Ma sono sicuro che sarò io stesso a mettermi di nuovo di fronte a questa prova terribile negli anni a venire.

Tradotto e adattato da: The Conversation

martedì 18 aprile 2017

Il dilemma del contagio da suicidio. Parlare o non parlare di suicidio?



Negli ultimi anni, la ricerca ha dimostrato che il suicidio può potenzialmente diffondersi attraverso i social network - un fenomeno che alcuni hanno definito “contagio da suicidio”.

Diverse tecniche sofisticate di analisi statistica hanno ampiamente raggiunto la stessa conclusione: se qualcuno è esposto al tentativo di suicidio o alla morte per esso di un amico, ciò aumenta il rischio di quella persona di pensieri e tentativi di suicidio.

Le conseguenze possono essere devastanti per le famiglie, i compagni di classe e i cittadini, che rimangono da soli a cercare di comprendere le ragioni dei suicidi a catena che si verificano nelle loro comunità, da Newton nel Massachusetts, a Palo Alto in California.

E’ una domanda che rappresenta una sfida per i ricercatori, che da decenni cercano risposte. Il ruolo del contagio da suicidio è forse uno degli aspetti meno compresi del suicidio, esso ci mette in una posizione di grosso svantaggio quando si devono progettare strategie efficaci per prevenire la diffusione dei suicidi.

Per questo motivo, nel nostro recente studio, abbiamo esaminato gli adolescenti. Volevamo sapere se l’essere o meno a conoscenza del tentativo di suicidio di un amico, può cambiare la possibilità del rischio personale di mettere in atto dei tentativi di suicidio.

Utilizzando dati longitudinali, abbiamo scoperto che gli adolescenti che hanno appreso del tentativo di suicidio di un amico, hanno quasi il doppio delle probabilità di tentare il suicidio un anno dopo. I giovani che hanno effettivamente perso un amico a causa di un suicidio, hanno un rischio ancora più elevato. È interessante notare che, gli adolescenti a cui gli amici non avevano parlato del loro tentativo di suicidio, non avevano un aumento significativo del rischio di suicidio un anno più tardi.

Il nostro studio ha diverse implicazioni interessanti per la prevenzione del suicidio.

In primo luogo, per un adolescente fare esperienza del tentativo di suicidio, o della morte, di un amico, sembra cambiare il profilo di rischio in modo significativo. Prima o poi tutti noi siamo esposti al suicidio, sia se questo avviene attraverso la lettura di Romeo e Giulietta, sia semplicemente guardando il telegiornale. Ma l'esposizione al tentativo di suicidio di un amico, o alla sua morte, appare trasformare l'idea lontana del suicidio in qualcosa di molto reale: un significativo e tangibile copione culturale, che i ragazzi possono mettere in atto per far fronte alle difficoltà.

In secondo luogo, seguendo il vecchio adagio “chi si somiglia si piglia”, alcuni hanno sostenuto che gli adolescenti depressi possono semplicemente fare amicizia tra loro, il che spiegherebbe il motivo per cui i gruppi di amici hanno tassi di suicidio simili (e contraddirebbe la teoria del contagio da suicidio).

Tuttavia i nostri risultati aggiungono alla letteratura esistente, l’indicazione che il contagio da suicidio non è semplicemente un fenomeno adolescenziale ove i ragazzi scelgono amici con una vulnerabilità al suicidio simile alla loro.
Se il contagio non avesse importanza, non dovrebbe averne neanche l’essere a conoscenza dei tentativi di suicidio. Ma, è evidente che, solo se i giovani sanno del tentativo di suicidio del loro amico, il rischio si innalza.

Come possiamo allora utilizzare questa conoscenza?

E' chiaro che il suicidio non è semplicemente un prodotto della malattia psicologica o di fattori di rischio psicologici. L'esposizione al suicidio, anche se è solo un tentativo, è emotivamente devastante, e gli adolescenti hanno bisogno di sostegno per affrontare le emozioni complesse che seguono l’evento. Qui, la prevenzione - o, come a volte è chiamata, “postvention strategies” (strategie post intervento) - diventa cruciale.

Una chiara implicazione del nostro lavoro è che nelle indagini di screening per il rischio suicidario, ai ragazzi si dovrebbe sempre chiedere, se siano a conoscenza di qualcuno che abbia tentato o sia morto per suicidio. In realtà, molti strumenti affidabili per lo screening adolescenziale per il suicidio includono domande circa l'esposizione ad esso.

Tutto ciò sembra ragionevole. Ma poi le cose diventano meno chiare e più difficili da interpretare.

Sulla base di quello che la nostra ricerca ha dimostrato, è naturale chiedersi se le persone che hanno tentato il suicidio dovrebbero essere scoraggiate dal parlarne. C'è il timore che, parlando di suicidio, potremmo senza intenzione promuoverlo.
Allo stesso tempo, se noi incoraggiamo le persone a non parlare di suicidio - in particolare i giovani - si potrebbe perdere l’opportunità di aiutare coloro che hanno pensieri suicidari e che stanno contemplando di togliersi la vita.

Inoltre, il senso di appartenenza ad un gruppo - sostenuto da amici e familiari, all’interno di una vita sociale sana - è essenziale per la prevenzione del suicidio. Se incoraggiamo i giovani a non parlare di suicidio, possiamo involontariamente aumentare la sensazione di isolamento degli adolescenti con pensieri suicidi, sensazione che contribuisce al rischio di suicidio.

A causa dello stigma pervasivo sulla malattia mentale e sul suicidio, è spesso molto difficile per le persone ammettere che hanno bisogno di aiuto. Così, invece di incoraggiare il silenzio sul tema del suicidio, potrebbe essere meglio educare gli adolescenti su come rispondere in modo appropriato se un amico rivelasse loro dei pensieri suicidari o un tentativo di suicidio.

Fortunatamente, esistono programmi basati su prove di efficacia come Question, Persuade, Refer (QPR) e SOS Signs of Suicide program. Questi programmi possono insegnare ai ragazzi strategie per ricevere aiuto dagli amici, basate su fonti specialistiche (per inciso, questi programmi sono spesso offerti nelle scuole).

Inoltre, è importante che genitori, insegnanti e allenatori si sentano a proprio agio nell’affrontare il discorso del suicidio; essi hanno bisogno di diventare esperti nelle risposte adeguate, e rendersi conto che un tentativo di suicidio può avere un effetto a catena che si riverbera oltre il singolo individuo.

Dopo tutto, è quando gli adolescenti sono lasciati soli ad affrontare il disagio dei loro amici che diventano più esposti al lasciarsi contagiare dai comportamenti e dalle ideazioni suicidarie.

Tradotto e adattato da: the conversation

mercoledì 5 aprile 2017

Perché così tanti veterinari si suicidano?



Ha trattato le ulcere allo stomaco del nostro maiale, le sue artriti e il suo attacco di cuore da congestione. Ha salvato la vita della nostra gallina. E quando la nostra amata Border collie, Sally, giaceva morente nella nostra camera da letto, è venuto a casa nostra e mentre io la tenevo e singhiozzavo sul copriletto, l'ha liberata dalla sua malattia.

E' difficile pensare nella nostra vita a persone più importanti, più necessarie, più venerate dei nostri veterinari. Per tutti noi che amiamo gli animali, la medicina veterinaria è una delle professioni più nobili al mondo.

Così ho appreso con shock e costernazione che i veterinari soffrono di allarmanti tassi alti di depressione e suicidi.

"E' un grave problema," afferma Stephanie Kube, una veterinaria neurologa specializzata in patologia del dolore al centro veterinario di neurologia e gestione del dolore di Walpole in New England. "La professione è profondamente afflitta."

Nel 2014 un sondaggio su 10000 veterinari praticanti, effettuato online dal centro federale per il controllo e la prevenzione delle malattie, pubblicato nel 2015, ha scoperto che più di un veterinario americano su sei ha considerato l'ipotesi del suicidio. I veterinari soffrono di sentimenti di disperazione, di depressione, e di altri disagi psichiatrici due o tre volte di più del resto della popolazione.

Due studi pubblicati nella rivista dell’Associazione di Veterinari Britannici, The Veterinary Record, hanno rilevato che i tassi di suicidio sono due o tre volte maggiori rispetto a quelli nei dentisti o nei medici e addirittura quattro/sei volte in più rispetto al resto della popolazione.

La tragedia è contro-intuitiva: molti veterinari si approcciano alla medicina animale sin dall'infanzia. Sono tra i pochi fortunati che realizzano i propri sogni. Con le carriere dedite a salvare la vita degli animali, perché i guaritori scelgono di metter fine proprio alla loro?

Queste constatazioni appaiono sorprendenti anche ai veterinari stessi. Nel 2012 un'inchiesta tra i direttori di diverse associazioni veterinarie del paese e tra i veterinari praticanti in Alabama ha scoperto che solamente l'11% dei veterinari era consapevole che il suicidio fosse un problema nell'ambito della propria professione.

Eppure, se chiedete al vostro veterinario, è probabile che sappia di un collega o di compagno di studi che ha smesso con la professione, si è esaurito, o che si è suicidato o suicidata. E quasi tutti i veterinari americani hanno sentito parlare del tragico caso della veterinaria di New York Shirley Koshi avvenuto nel 2014.

Un buon samaritano aveva raccolto e salvato un gatto malato nei pressi di un parco e l'aveva portato nella clinica più vicina, quella della Koshi, proprietaria e responsabile della Clinica Veterinaria "Gentle Hands" a Riverdale. La Koshi curò e adottò l'animale. Settimane dopo, apparve una donna, che chiese alla Koshi di darle indietro il gatto. Affermava che il gatto fosse suo perché per lui, come per altri gatti che girovagavano per il parco pubblico, aveva lasciato del cibo.

La donna la citò in giudizio; dimostranti infuriati picchettarono lo studio della Koshi, vennero organizzati gruppi di contestatori che attaccarono la veterinaria anche online. Alla fine la Koshi, a 55 anni, si tolse la vita in casa sua.

"La gente ha l'idea sbagliata che il mestiere del veterinario sia vaccinare cagnolini e gattini per tutto il giorno", afferma Marie Holowaychuk, una specialista in emergenza e terapia intensiva a Calgary, Alberta.

Mentre i veterinari affrontano abilmente pazienti che possono mordere, graffiare e calciare, è spesso il cliente umano, affermano i veterinari, a portarli sull'orlo del precipizio.

"Molti dei nostri clienti sono fantastici e noi li amiamo ma ogni sorta di persone possiede animali", afferma Kube. Alcuni adottano o salvano animali e poi non sanno prendersene cura. Altri vogliono sopprimere animali sani. Alcuni proprietari di animali hanno problemi e disagi emozionali. Alcuni sono messi troppo male economicamente per poter pagare le cure veterinarie. "E c’è chi pensa che i veterinari facciano tutto gratis, perché amano gli animali", afferma Kube," e noi lo facciamo, ma non possiamo". Molti veterinari, ella afferma, si accollano enormi debiti dall'Università, che costa come o di più di una scuola di medicina. Ma la maggior parte dei veterinari guadagna meno di un terzo di quanto guadagnino medici o dentisti, soprattutto perché riscuotono meno e non vengono rimborsati dai vari Medicare, Medicaid o da altri programmi di assicurazione medica (l'assicurazione per gli animali da affezione esiste ma pochi sono coloro che l'hanno stipulata).

Eppure i veterinari devono essere testimoni, e spesso assistere, nel momento più straziante per chi cura, molto più spesso di quanto tocca ai medici per umani. "Molti dei nostri pazienti muoiono durante la nostra carriera", il mio veterinario, il Dr. Chuck DeVinne dell'Animal Care Clinic a Peterborough, N.H., mi disse - semplicemente perché gli animali da compagnia hanno vite più brevi rispetto agli essere umani.

I veterinari incontrano la morte di frequente, e allo stesso tempo si imbattono in alcune problematiche etiche che ai medici non capita di affrontare. Si consideri un veterinario che ha bisogno di consigliare un proprietario costretto a scegliere tra un'operazione costosa per il suo animale o mandare il figlio al college, o peggio, un veterinario che operi un animale che malgrado le migliori cure muoia ugualmente.

Quando le cose vanno male, i veterinari se la prendono a cuore. "Molti veterinari sono estremamente dediti a tutto ciò che concerne la loro professione" afferma DeVinne.

Quando questo stress si combina a tante ore di lavoro e con carichi di turni di reperibilità, è facile capire come chiunque possa crollare. E poiché i veterinari distribuiscono la "Morte dolce " ai loro pazienti con l'eutanasia, essi possono facilmente credere che la morte sia la via d'uscita al dolore. Tutti loro hanno facile accesso ai farmaci che possono uccidere.

Cosa si può fare per prevenire burn-out, depressione e suicidio? Holowaychuk pratica yoga e meditazione e oggi, come istruttore certificato di yoga e di meditazione incorpora queste pratiche in workshop di trattamenti benessere per colleghi veterinari. (Per saperne di più su di loro, visita: www.criticalcarevet.ca/wellness.) 

Raccomanda, inoltre, che i clienti stipulino un'assicurazione cosicché i costi non si trasformino in problemi. DeVinne sottolinea come sia importante per i veterinari sviluppare interessi al di fuori dell'ambiente lavorativo: lui è un giocatore nazionale di tiro al bersaglio e un buon suonatore di banjo.

"Educare il pubblico è il primo passo" per guarire i guaritori di animali, afferma Kube. Vi esorto a fare come faccio io quando porto il mio cucciolo per una visita: dite al vostro veterinario, e al suo staff, che siete grati loro per ciò che fanno.

Tradotto e adattato da: The Boston Globe




domenica 2 aprile 2017

Giornata Mondiale dell'Autismo, video: Possono Accadere Cose Meravigliose.

Oggi 2 aprile si celebra la Giornata Mondiale dell'Autismo, sancita dalle Nazioni Unite con la Risoluzione ONU 62/139 del 18 dicembre 2007. Lo scopo è quello di sensibilizzare l'opinione pubblica circa un disturbo che riguarda un numero sempre maggiore della popolazione e accrescere l’impegno al miglioramento dei servizi e alla promozione della ricerca.

Pertanto oggi ho scelto di pubblicare un simpatico video, che vuole essere un'introduzione all'autismo per creare consapevolezza nei giovani non-autistici e stimolare la comprensione e l'accettazione nelle generazioni future. 



La pagina del progetto originale per la lingua inglese ed altre lingue è su: Amazing Things Happen
La voce italiana è di David Vagni - Spazio Asperger.
 

giovedì 30 marzo 2017

No, i ricercatori non hanno scoperto la causa del disturbo ossessivo compulsivo


Se è vero che vi è un’epidemia di “fake news”, stiamo anche assistendo al fatto che non vi è più spazio per una chiara attività di comunicazione degli uffici di relazione con l’esterno e social media delle università che promuovono gli ultimi risultati della ricerca dei loro professori. Alcune delle colpe ricadono sugli stessi ricercatori, che evitano appositamente una comunicazione cauta e conservatrice, proponendo, invece, iperboli comunicative e sovra-generalizzazioni.

L'ultimo esempio di “fake news” scientifica è la presunta scoperta di una singola causa del disturbo ossessivo-compulsivo (OCD). Fatto sta che non vi è necessità di andare oltre il comunicato stampa pubblicato dalla Università di Würzburg, per vedere quanto profondo sia il problema.

Chiariamo da subito che i ricercatori non hanno scoperto la causa del disturbo ossessivo-compulsivo (OCD).

Ciò che i ricercatori hanno trovato è l’assenza di una specifica proteina (SPRED2) che inibisce una via neurologica del segnale nel cervello dei topi (Ras / ERK-MAP chinasi in cascata), dopo aver creato dei comportamenti simili a quelli dell’OCD. Nei topi.

L'anno scorso, un altro gruppo di ricercatori della Duke University ha scoperto “un unico tipo di recettore per il neurotrasmettitore glutammato nel cervello come responsabile di una serie di sintomi simili all’OCD nei topi.” Ma non hanno lavorato sulla SPRED2, il loro lavoro è stato sulla SAPAP3 - una proteina completamente diversa.

Ci sono, infatti, vari gruppi di ricerca che stanno lavorando su diverse serie di modelli murini per favorire la comprensione dei comportamenti dell’OCD. E' un’area di studio molto complessa, che sta dando alcuni promettenti risultati iniziali.

Nel caso della news sanitaria in esame, nella consueta attività di divulgazione, ciò che è andato completamente perso nella trasposizione di questa complessa area di studi, è che allo stato attuale il lavoro è stato condotto solo sui topi – non sugli esseri umani. Quando modelli murini sono tradotti nell’esperienza umana, il più delle volte essi non funzionano. Troverete numerose cautele nei comunicati stampa, invece, non vi è stata alcuna cautela nella comunicazione mediatica mainstream di questa ricerca basata sul comunicato stampa dell’ufficio di relazione con l’esterno dell’università.

In realtà, è che proprio non si trova alcuna cautela di sorta nel comunicato stampa originale sulla scoperta dei ricercatori. Non una sola parola circa la generalizzabilità dei risultati per gli esseri umani, o su come il lavoro dei ricercatori possa allinearsi con risultati di altre ricerche sulle diverse proteine che hanno a che fare con comportamenti simili nei topi.

Il problema è come far passare delle notizie corrette attraverso il clamore mediatico 

Robert Emmerich - che ha scritto il comunicato stampa dell'Università di Würzburg -, ha costruito ad arte una tale affermazione, audace e troppo generalizzata, dei risultati ottenuti dai loro ricercatori, ovvero: l’aver trovato l'unica, vera causa del disturbo ossessivo compulsivo – questo è parte del problema. Mr. Emmerich non è uno scienziato, lui è semplicemente un editor e scrittore impiegato dall'Università di Würzburg per garantire che tutto ciò che scrive venga preso in considerazione dai tradizionali organi di informazione.

La sfida di Mr. Emmerich, nella stesura dei suoi comunicati, è quello di raccogliere il maggior consenso mediatico, ed è una sfida che cresce ogni giorno, così come Internet si satura sempre più di nuove scoperte da parte di ricercatori che hanno definitivamente trovato qualcosa di NUOVISSIMO e che deve essere notato. I ricercatori sono sotto pressione dalle loro istituzioni per garantire che il lavoro che stanno facendo è rilevante, e metaforicamente, possono essere venduti al pubblico come un insieme di beni intellettuali.

Questi “beni”, se adeguatamente promossi aumenteranno la reputazione e la statura dell'università. “Sì, siamo l'università che ha scoperto la vera causa del disturbo ossessivo compulsivo!”

Non solo i legittimi ricercatori devono lavorare sodo per le università tradizionali per far si che il proprio lavoro sia pubblicato (e poi pubblicizzato), ma sempre più essi devono competere contro gente comune che semplicemente se ne occupa al solo scopo di ottenere visite al proprio sito web (per spinegere entrate ricavate dalla pubblicità o dalle vendite nelle loro tasche).

Di certo non aiuta quando il canale mainstream, rigurgita uno scadente comunicato stampa dell'Università di Würzburg, e ripete la stessa affermazione priva di fondamento:
 
  • Cause of obsessive-compulsive disorder discovered – Science Daily
  • German Researchers Discover Cause of OCD – Teen Vogue
  • Scientists uncover cause of obsessive-compulsive disorder – UPI
  • Scientists Found Underlying Cause of Obsessive-Compulsive Disorder – Nature World News
  • Obsessive-Compulsive Disorder Behaviors Linked To Missing Protein In The Brain – Medical Daily
 
Non esiste una risposta facile al problema di come spiegare la complessità del mondo scientifico in modo semplice e con le appropriate precauzioni del caso. Non v'è alcuna ricompensa per gli uffici dei media universitari, se frenano il loro entusiasmo per il lavoro dei loro ricercatori, e c'è poco vantaggio per le redazioni di notizie mainstream nel filtrare i loro titoli per riflettere più accuratamente la verità. Le società di notizie mainstream, tuttavia, hanno la responsabilità sul loro pubblico per cominciare a mettere in discussione i comunicati stampa provenienti da università e vale la pena di spendere due minuti per fare una ricerca su Google (come ho fatto io) e porre quindi la nuova ricerca nel contesto più appropriato.

Non è così difficile. E 'qualcosa che si usa chiamare il buon giornalismo.

riferimenti:

  1. The title of the actual study, “OCD-like behavior is caused by dysfunction of thalamo-amygdala circuits and upregulated TrkB/ERK-MAPK signaling as a result of SPRED2 deficiency” gives away the truth. This isn’t necessarily the same obsessive-compulsive disorder as it is defined in adults — it is “OCD-link behavior”… in mice.
 Tradotto e adattato, originale su: Psychcentral
 






giovedì 23 marzo 2017

C'è davvero un legame tra l'avere un gatto e la malattia mentale? Finalmente una nuova ricerca dimostra: probabilmente NO.



Nel corso degli ultimi anni, i gatti hanno sempre attirato l'attenzione dei media a causa di una serie di studi scientifici che riportano che l’infezione da Toxoplasma gondii (T. gondii) sia collegata con problemi di salute mentale, tra cui la schizofrenia, il suicidio e il disturbo esplosivo intermittente. Dal momento che i gatti sono gli unici animali domestici che possono essere ospiti definitivi del parassita T. gondii - ovvero l’organismo dei gatti fornisce un ambiente all'interno del quale questo parassita si può riprodurre – si è spesso ipotizzato che l’avere un gatto a casa possa mettere le persone a maggior rischio di malattia mentale, a causa di una maggiore esposizione.
Tuttavia, solo pochissimi piccoli studi hanno trovato prove a sostegno di un legame tra possedere un gatto e disturbi psicotici, come la schizofrenia. E la maggior parte di queste ricerche hanno gravi limitazioni. Per esempio, essi si basano su piccoli campioni, non specificano come sono stati selezionati i partecipanti, e non descrivono adeguatamente la presenza di dati mancanti e le spiegazioni alternative. Questo spesso può portare a risultati che nascono dal caso o sono di parte.
Per affrontare queste limitazioni, abbiamo condotto uno studio utilizzando i dati di circa 5.000 bambini che, tra il 1991 e il 1992, presero parte ad un importante studio longitudinale di genitori e bambini chiamato ufficialmente Avon Longitudinal Study of Parents and Children. Da allora, questi bambini e le loro famiglie sono state seguite allo scopo di raccogliere informazioni sulla loro salute, nonché sulle loro condizioni demografiche, sociali ed economiche.

Quindi, a differenza di studi precedenti, siamo stati in grado di seguire le persone nel corso del tempo, dalla nascita alla tarda adolescenza, e affrontare una serie di limitazioni delle ricerche precedenti, tra cui il controllo per spiegazioni alternative (quali il reddito, occupazione, etnia, altri proprietari dell'animale domestico e sovraffollamento) e abbiamo tenuto conto dei dati mancanti.

Abbiamo studiato se le madri che possedevano un gatto durante la gravidanza; quando il bambino aveva quattro anni; e 10 anni, avessero una maggiore probabilità di avere figli che, ai 13 anni e ai 18 anni di età, riferissero sintomi psicotici come paranoia o allucinazioni. Anche se la maggior parte delle persone che soffrono di sintomi psicotici durante l'adolescenza non sviluppano disturbi psicotici nel corso della vita, questi sintomi spesso indicano un aumento del rischio di tali disturbi e altre malattie mentali, compresa la depressione.

E DUNQUE I GATTI SONO DAVVERO RESPONSABILI DI ALCUNE MALATTIE MENTALI? PROBABILMENTE NO.


Abbiamo scoperto che i bambini che sono nati e cresciuti in famiglie in cui erano presenti gatti in un qualsiasi periodo di tempo - cioè, tra la gravidanza, l’infanzia precoce e tardiva - non erano a più alto rischio di avere sintomi psicotici all’età di 13 o 18 anni. Questa scoperta, ricavata da un ampio campione rappresentativo, non è cambiata quando abbiamo usato tecniche statistiche per tenere conto dei dati mancanti e le spiegazioni alternative. Ciò significa che è improbabile che i nostri risultati abbiano una spiegazione dovuta al caso o siano polarizzati.

Anche se questo risultato è rassicurante, non vi sono, invece, prove che collegano l'esposizione a T. gondii in gravidanza al rischio di problemi di aborto spontaneo e di nati-morti, o di salute del bambino. Nel nostro studio, non siamo riusciti a misurare direttamente l'esposizione a T. gondii, quindi le donne incinte - si consiglia - dovrebbero continuare ad evitare la manipolazione di lettiere per gatti sporche [oppure usando guanti n.d.r.] e altre fonti di infezione da T. gondii, come carni crude o poco cotte, o frutta e verdura non lavata . Detto questo, i dati dal nostro studio suggeriscono che possedere un gatto durante la gravidanza o nella prima infanzia non rappresenta un rischio diretto per la prole allo sviluppo di sintomi psicotici nella vita.

Tradotto e adattato da: the conversation


Nella foto mamma Lial, il piccolo Sean e la gatta Panda, che per nove mesi ha dormito sulla pancia della donna e che ora protegge il neonato.

martedì 14 marzo 2017

Lettera agli amici che sono spariti a causa della mia malattia mentale

















Ringraziarvi. A dire il vero la sola cosa che posso fare. Vi ringrazio per essere stati parte della mia vita nel tempo che mi siete stati vicini, e vi ringrazio per esservene andati e avermi reso una persona più forte. Si, una delle cose più difficili del convivere con la malattia mentale, è quella di vedere le persone uscire costantemente dalla tua vita, ma allo stesso tempo di avere l'opportunità di riconsiderare il valore delle tue relazioni. Se non siete in grado di avere a che fare con me nei miei momenti peggiori, allora non meritate neanche di esserci nei miei momenti migliori.

Vorrei farvi sapere che la malattia mentale è reale. Il cervello è un organo meraviglioso, capace di compiti importantissimi, ma come ogni altro organo del nostro corpo si può ammalare. Il punto è che se la mente si ammala ci possono volere anni prima che la malattia si manifesti. E quando alla fine la malattia è evidente, si può essere capaci di minimizzare il dolore senza che nessuno lo noti. Dopo però, tutto il dolore soppresso così a lungo torna indietro come un boomerang. Per chi ti sta intorno, può sembrare un cambiamento improvviso, un giro a 360° in un tempo brevissimo. E invece era già lì da tanto, e affondava il pugnale sempre più a fondo.

Ad un certo punto la depressione è così grave che alzarsi dal letto e lavarsi i denti è un traguardo. Mangiare tre volta al giorno è pressocchè impossibile, e stare al passo con i compiti scolastici una sfida. Conservare le amicizie quando non riesci ad alzarti dal letto e lavarti i denti è difficilissimo.

Non mi aspetto che capiate come mi sento, anche perchè potreste non aver mai provato l'esperienza della malattia mentale, ma esserci in certi momenti è davvero importante. E invece non c'è più nessuno al mio fianco. E' per la malattia mentale? O perchè tutti hanno traslocato? Non lo so.

Quello che so però è quanto sia difficile non aver accanto a te le persone che sono state le tue migliori amiche e amici. Quello che so è che la malattia mentale non mi definisce come persona. Quello che so è che non annullerò me stessa per la malattia mentale o mi autoflagellerò per gli amici persi. Celebrerò i piccoli traguardi che raggiungerò ogni giorno. Continuerò a prendermi cura di me stessa. Cercherò aiuto quando ne avrò bisogno. Non lascerò che lo stigma della malattia mentale vinca."

Testimonianza tradotta e adattata da: themighty.com

martedì 7 marzo 2017

Psicoterapia psicodinamica – c’è molto di più che sdraiarsi su un divano a parlare della propria infanzia.



Alcune persone pensano che la psicoterapia psicodinamica tiri avanti a forza di raccontare fandonie. Questa terapia, che ha avuto origine dalla scuola freudiana della psicoanalisi, è spesso raffigurata come elitaria, costosa, vecchio stile e inefficace. La terapia cognitivo-comportamentale (TCC), al contrario, è ritratta come evidence-based, moderna, rapida e conveniente.

C’è molta letteratura che mostra che la TCC può aiutare le persone con depressione lieve o moderata o ansia. Il risultato è che la TCC è diventata un po’ come il paracetamolo per problemi psicologici.

Tuttavia, quando si tratta di problemi psicologici più profondi, la nuova ricerca suggerisce che la psicoterapia psicodinamica - dove terapeuta e paziente formano una relazione terapeutica, in cui quest’ultimo comincia a pensare e a capire le relazioni passate e presenti con gli altri, considerando nuove modalità di rapportarsi con le persone - può essere efficace. Non si tratta affatto di fandonie.


L’offerta di soluzioni rapide

Dal 2008 migliaia di nuovi terapeuti cognitivo-comportamentali sono stati formati per fornire un trattamento a centinaia di migliaia di persone. Questi servizi ora sono di solito il primo approdo per chi va dal proprio medico lamentando problemi psicologici.

Si dice che vi siano più di 500 tipi diversi di psicoterapia, che potrebbero soddisfare persone diverse, in tempi diversi e per diversi motivi. Questo fattore, però, ha finito per mettere la TCC su un piedistallo e la scelta del paziente si è molto ristretta.

La TCC tende ad essere effettuata a partire da 6 fino a 12 sedute settimanali ed è offerta vis a vis (faccia a faccia), per telefono o attraverso un programma per computer. Questo mi ricorda "La notte gourmet" a Fawlty Towers 1 , quando c'erano solo tre opzioni del menu: anatra all'arancia, anatra con ciliegie o "anatra a sorpresa". Basil Fawlty sottolineava ironicamente: "Se non ti piace l'anatra, sei piuttosto bloccato!"

Alcuni servizi hanno ora ampliato la loro offerta per includere altre terapie rapide, come ad esempio una breve versione di psicoterapia psicodinamica chiamata terapia interpersonale-dinamica, che implica 16 sedute individuali per il trattamento dei disturbi dell'umore come la depressione. Ma quando le persone hanno problemi molto complessi, probabilmente avranno bisogno di una forma di terapia più lunga.


Non è abbastanza buona per le linee guida del NICE (National Institute for Health and Care Excellence: Istituto Nazionale per la Salute e l’Eccellenza Clinica)[2].

La psicoterapia psicodinamica è disponibile nei centri NHS (National Health Service: Sistema Sanitario Inglese) della Tavistock Clinic di Londra, dove i pazienti possono essere seguiti per un anno e qualche volta anche per più tempo. In altre zone, la disponibilità tende ad essere più scarsa e le liste di attesa si allungano.

Il motivo per cui non si è considerato che la psicoterapia psicodinamica, ed altri tipi di psicoterapia, funzionassero così come la TCC, è perché, anche se è presente letteratura in merito, essa è stata il tipo di ricerca sbagliata per il NICE (l'agenzia responsabile per decidere se i nuovi farmaci e trattamenti dovrebbe essere finanziato dal NHS).

Il NICE ha come priorità di ricerca studi clinici controllati e randomizzati che mettono a confronto l’efficacia di un tipo di terapia rispetto ad un trattamento standard di corrente uso. La ricerca che raffronta i trattamenti tra loro, o che prende in esame un tipo di terapia nel tempo, non è apprezzata dal NICE, anche se questo approccio gerarchico di valutazione della ricerca ha i suoi critici, sia all'interno che all'esterno del campo della psicoterapia.

Uno studio gold-standard 

La nuova ricerca è il primo studio randomizzato controllato di psicoterapia psicodinamica nel servizio sanitario nazionale (in parte finanziato dalla fondazione di beneficienza della Tavistock Clinic) per gli adulti con depressione grave di lunga durata.

I 129 pazienti che hanno accettato di partecipare allo studio avevano già trovato gli antidepressivi - e in alcuni casi la TCC - di nessun aiuto. Questo tipo di depressione è talvolta chiamata "resistente al trattamento ".

I pazienti sono stati assegnati in modo casuale a ricevere un trattamento di psicoterapia psicodinamica o il trattamento standard (treatment -as-usual TAU); essi sono stati trattati per 18 mesi e seguiti successivamente con controlli periodici per due anni.

I risultati hanno mostrato che, quando la terapia si è conclusa dopo 18 mesi, i pazienti nel gruppo di trattamento non avevano maggiore probabilità di miglioramento rispetto al gruppo di controllo. Tuttavia, due anni più tardi, un numero significativamente maggiore di persone erano migliorate nel gruppo trattato rispetto al gruppo di controllo.

La maggior parte della ricerca in psicoterapia non riesce a seguire i pazienti per un periodo di tempo così lungo. Un recente studio randomizzato controllato, ha utilizzato la TCC per la depressione resistente al trattamento, trovando che la TCC è utile per questo tipo di depressione. Tuttavia, la TCC in questo studio è stata insolitamente lunga (18 sessioni), la gravità della depressione era leggermente inferiore a quella dello studio con psicoterapia psicodinamica, ed i pazienti hanno effettuato successivi controlli periodici per un solo anno.
Poiché la depressione resistente al trattamento è a lungo termine - qualche volta può esserlo per l’intero corso della vita - ed è una condizione che rischia di tornare, controlli più a lungo termine, nel corso degli studi, sono fondamentali per capire quale impatto abbiano le diverse terapie, non solo mentre il paziente è in terapia, ma anche negli anni successivi.

La psicoterapia psicodinamica non è una soluzione rapida. Al termine del trattamento, il paziente potrebbe aver bisogno di tempo per mettere in pratica ciò che ha imparato, quindi è dopo la fine della terapia che ci si può aspettare di vedere la vita dei pazienti in graduale miglioramento. Se la psicoterapia psicodinamica porta a miglioramenti due anni dopo la fine del trattamento, invece che nel corso della terapia, come suggeriscono i risultati del nuovo studio, il suo potenziale come terapia, che potrebbe fornire risultati di lunga durata, rispetto a cambiamenti transitori, dovrebbe essere interessante per i pazienti in cerca di aiuto.


Occorre mettere fine alle caricature

Una recente review, che ha esaminato tutte le ricerche pertinenti la psicoterapia psicodinamica, sostiene anche l'idea che questo tipo di terapia potrebbe aiutare le persone con una serie di difficoltà psicologiche tra cui la depressione, ansia e disturbi alimentari.

Ciò non significa che la psicoterapia psicodinamica ora debba essere offerta a tutti. Poiché è un trattamento lungo e più complesso e non potrebbe andare bene nel modello convenzionale dell’NHS, che si basa sulla fornitura di terapie brevi per il mercato di massa, effettuate da terapeuti la cui formazione, e quindi il tempo, costa molto meno di uno psicoterapeuta psicodinamico. Ma ciò significa che alcune delle caricature tradizionali inerenti la psicoterapia psicodinamica vanno riconsiderate, in particolare l'idea che questo tipo di terapia non funziona.

E’ importante che ai pazienti sia offerta una vera e propria scelta della terapia al momento giusto, in particolare per le persone le cui difficoltà sono di lunga data, complesse e gravi, dove un approccio che proponga una rapida soluzione è meno probabile che funzioni e potrebbe anche indurre le persone a smettere di cercare aiuto.

Articolo tradotto e adattato da: theconversation


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[1] Fawlty Towers è una notissima sit-come britannica trasmessa negli anni settanta dal canale televisivo BBC2.

[2] L'Istituto Nazionale per l'Eccellenza Clinica (National Institute for Clinical Excellence, abbreviato come NICE) è stato fondato nel 1999 con la qualifica di Autorità Speciale per la Salute per l'Inghilterra ed il Galles. L'Istituto fa parte del Sistema Sanitario Nazionale Inglese (NHS). Si occupa dell'analisi della letteratura in campo medico e tecnologico biomedico, con particolare interesse per la valutazione del rapporto costo/efficacia. Il NICE pubblica Linee Guida.