lunedì 15 maggio 2017

Quale migliore definizione dei disturbi mentali potrebbe aiutare la diagnosi e il trattamento?



I disturbi mentali sono attualmente definiti sulla base del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM), in cui compare un elenco di centinaia di categorie diagnostiche distinte; un nuovo studio al quale abbiamo lavorato suggerisce, tuttavia, che esiste margine di miglioramento. 

Ciascuna categoria del DSM è corredata da una lista di controllo dei criteri. Qualora venisse soddisfatta una quantità “sufficiente” di tali criteri (spesso, poco più della metà), si rientra all’interno di quella determinata categoria diagnostica. Ad esempio, la lista di controllo per la depressione maggiore prevede un elenco costituito da nove sintomi: per ricevere una diagnosi, è necessario presentarne almeno cinque.

I disturbi elencati sul DSM forniscono etichette per aiutare i medici a comunicare riguardo ai loro pazienti, a indirizzare questi ultimi verso i programmi di trattamento e a fornire codici di fatturazione alle compagnie di assicurazione. Questi disturbi ci guidano nel modo in cui eseguiamo la diagnosi, trattiamo la malattia mentale e facciamo ricerca su di essa. Tuttavia l’intero sistema DSM contrasta con la natura della malattia mentale, che non può essere classificata in modo netto all’interno di contenitori. Pertanto, se si utilizzano le strette e rigide categorie del DSM sulle malattie mentali si ostacolano da una parte la diagnosi e il trattamento efficace, e dall’altra la creazione di una solida e accurata ricerca.

È chiaro che abbiamo bisogno di un modello alternativo per classificare la malattia mentale in grado di smembrare l’oggetto, seguendo le nervature naturali, invece di imporre, per la classificazione, categorie assolutamente artificiali.

Quando abbiamo creato la Tassonomia gerarchica della psicopatologia (HiTOP: Hierarchical Taxonomy of Psychopathology), pubblicata il 23 marzo, quello che ci proponevamo era di seguire l’analisi statistica dei dati degli studi esistenti fino ad oggi su come le persone vivono la malattia mentale. Cinquanta dei principali ricercatori che studiano la classificazione della malattia mentale si sono riuniti per dare una struttura all’HiTOP. Esso integra 20 anni di ricerca in un nuovo modello che supera molti dei problemi derivanti dal DSM.

Problemi che derivano dall’uso del DSM nella descrizione della malattia mentale.


Per esemplificare i problemi che possono scaturire dalla valutazione eseguita sulla base del DSM, consideriamo due pazienti ipotetici: James e John:

James si sente depresso. È ingrassato molto, ha difficoltà a dormire, spesso è stanco e ha problemi di concentrazione. Sulla base di questi sintomi, a James potrebbe essere diagnosticato un episodio depressivo maggiore.

John non si diverte più e si è allontanato dai suoi cari. Si sente “frenato” al punto tale da risultargli difficile anche muoversi, e non riesce più a svegliarsi la mattina. Fa fatica a prendere decisioni che riguardano la quotidianità. A causa di questi sintomi, recentemente ha perso il suo lavoro e successivamente ha tentato il suicidio. Anche a John, con tali sintomi, potrebbe essere diagnosticato un episodio depressivo maggiore.



John soffre di una depressione più grave e invalidante, inoltre, i suoi sintomi sono diversi da quelli di James. Queste importanti distinzioni tra di loro si perdono nel momento in cui vengono raggruppati e semplicemente etichettati come “depressi”.

La loro diagnosi potrebbe anche comparire o essere modificata facilmente per motivi che potrebbero non riflettere un cambiamento reale o significativo del disturbo mentale.

Diagnosi incerte con il DSM

Se, per esempio, John non avesse avuto difficoltà a svegliarsi la mattina presenterebbe solo quattro dei sintomi di depressione maggiore. Non avrebbe più soddisfatto i criteri necessari a ricevere una diagnosi. La soglia diagnostica arbitraria (ossia quella che necessita di cinque dei nove sintomi presenti sulla lista di controllo della depressione) comporta il fatto che John non potrà più accedere al trattamento coperto dalla sua assicurazione, nonostante l’impatto dei suoi sintomi sulla qualità della vita.


Inoltre, i confini tra i disturbi DSM a volte appaiono sfocati e non sempre è chiaro quale etichetta diagnostica si adatti meglio. Molti disturbi hanno liste di controllo simili fra di loro. Se, invece, James avesse riferito, ad esempio, anche una preoccupazione cronica e incontrollabile, oltre ai suoi sintomi di depressione - molto comuni - gli sarebbe stato diagnosticato un disturbo d’ansia generalizzato.

Molti dei limiti nel sistema DSM sono causati dal fatto che si affida su disturbi presumibilmente distinti da soglie arbitrarie (ad esempio, che necessitano di cinque dei nove sintomi). Queste caratteristiche del DSM sono stabilite dai comitati di esperti: a ogni nuova revisione, i comitati decidono quali disturbi debbano essere inclusi, la lista di controllo dei sintomi di ogni disturbo e il numero di sintomi necessari per una diagnosi.

L’affidamento ai comitati e ai processi politici ha portato a un sistema che non riflette la vera natura della malattia mentale. Le cose assumono un aspetto diverso se ci affidiamo ad un approccio empirico per fare una mappatura della struttura e dei confini della malattia mentale.

Seguire l'evidenza scientifica per descrivere la malattia mentale 

Dall’analisi dei dati su come le persone vivono i disturbi mentali, emergono pattern chiari sulle modalità in cui si co-verificano i disturbi. Ad esempio, chi è depresso probabilmente proverà anche ansia, mentre qualche giocatore compulsivo sarà, verosimilmente, afflitto anche dalla dipendenza da droga o alcool.

Questi tipi di pattern di co-occorrenze evidenziano le caratteristiche sottostanti comuni condivise dai gruppi di disturbi. Negli ultimi 20 anni, decine di studi hanno analizzato i modelli di co-occorrenza in decine di migliaia di esperienze di malattia mentale. Questi studi hanno trovato convergenza su sei larghi domini:
  1. Internalizzazione, che riflette una propensione verso emozioni negative eccessive, come depressione, ansia, preoccupazione e panico;
  2. Disinibizione, che riflette una predisposizione verso comportamenti impulsivi e imprudenti, e abuso di droga o alcol;
  3. Antagonismo, che è un misto di comportamenti aggressivi, sgradevoli e antisociali;
  4. Disturbi del pensiero, che comprende esperienze deliranti, allucinazioni o paranoia;
  5. Distacco, contrassegnato da scarsa iniziativa sociale e dal ritiro dalle interazioni sociali; e
  6. Disturbo somatoforme, definito da sintomi medici non spiegati e da ricerca eccessiva di rassicurazione e attenzione medica.
Ognuno di questi sei domini può essere misurato su una dimensione continua che rappresenta la probabilità che una persona possa sperimentare quei sintomi. Ad esempio, una persona che si trova in prossimità del margine minimo di internalizzazione probabilmente è emotivamente resiliente, calma e stoica di fronte alle avversità. Chi, invece, si trova al limite massimo potrebbe essere soggetto a profondi e prolungati periodi di depressione, a preoccupazione incontrollabile e a intensi timori irrazionali.

La posizione di una persona rispetto a queste dimensioni può prevedere non solo la salute mentale attuale, ma anche il tipo, il numero e la gravità dei disturbi mentali specificati in “stile-DSM” di cui soffrirà in futuro.

Osservare più da vicino la malattia mentale


La struttura HiTOP va oltre i sei ampi domini elencati sopra, essa include anche dimensioni più ristrette annidate all’interno di questi domini, che ci permettono di caratterizzare le esperienze delle persone affette da malattie mentali in modo più dettagliato.

Per esempio, la dimensione di internalizzazione comprende le dimensioni, più ristrette, di paura, disagio emotivo, disturbi del comportamento alimentare e bassi livelli di funzione sessuale. La misurazione di queste dimensioni più circoscritte permette una rapida comunicazione delle modalità in cui si palesa un alto livello di internalizzazione.

A loro volta, queste dimensioni più circoscritte possono essere separate in elementi ancora più dettagliati per determinare, ad esempio, se un livello elevato della dimensione della paura possa manifestarsi nelle interazioni sociali, come fobie oppure ossessioni o compulsioni.

Questa costruzione gerarchica della struttura - all’interno della quale le dimensioni ampie possono essere suddivise in dimensioni sempre più ridotte e più dettagliate - consentono un'elevata flessibilità alle esigenze dei medici e dei ricercatori. Le idee fondamentali della struttura dell’HiTOP sono già state attuate per rafforzare la ricerca sulla malattia mentale e sono pronte per essere utilizzate nella pratica clinica.

Un’alternativa migliore al DSM


Ritorniamo a James e John: piuttosto che valutare centinaia di sintomi sul DSM per determinare quale combinazione idiosincratica dei disturbi potrebbe essere assegnata per adattarsi meglio alle loro combinazioni di sintomi, possiamo valutare i sei vasti domini della malattia mentale, allo scopo di determinare rapidamente dove si trovano i due uomini su ciascuna dimensione.

Successivamente le dimensioni più dettagliate della struttura ci consentiranno di identificare i cluster più gravi o dolorosi della loro sintomatologia. Con la piena comprensione della natura, della portata e della gravità dei loro sintomi, possiamo indirizzarli ai trattamenti più appropriati ed efficaci disponibili.

La struttura gerarchica e dimensionale supera quindi i limiti della dipendenza del DSM su disturbi discreti “presenti o assenti” [ndr: sistema categoriale]: la struttura gerarchica ci permette di valutare e conservare informazioni dettagliate sui sintomi presentati dagli individui. La struttura dimensionale supera anche i limiti delle soglie di diagnostica arbitrarie del DSM, poiché è in grado di registrare la gravità della malattia mentale su ogni dimensione.

Viene inoltre superata la fragilità della classificazione dei disturbi secondo il DSM (cioè, che si possa determinare l’esistenza, l’inesistenza e la variazione della malattia mentale con soli piccoli cambiamenti nei sintomi). La remissione di un sintomo - o l’inizio di nuovi sintomi - varia semplicemente quando una persona si sposta nelle diverse dimensioni.

In conclusione, seguendo l’analisi dei dati dei pattern sintomatologici, vediamo un’immagine molto diversa dalle categorie di disturbi ricavate dai comitati di lavoro dei DSM. Questo nuovo quadro gerarchico e dimensionale è molto più coerente con la vera struttura della malattia mentale e può rivoluzionare il metodo in cui diagnostichiamo e trattiamo le molteplici modalità con cui le persone affrontano la propria salute mentale.
 

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