domenica 14 giugno 2009

“Le carezze e il bisogno di riconoscimento nell’Analisi Transazionale”






La carezza (stroke) è uno dei concetti più affascinanti, ma allo stesso tempo semplici ed efficaci, dell’Analisi Transazionale, un approccio alla comprensione degli esseri umani, fondato dallo psichiatra canadese Eric Berne negli anni ’50; l’idea originale di Berne fu quella di contraddistinguere la carezza come l’unità di riconoscimento sociale. Prima di passare ad esporre le idee e i tipi di bisogni individuati ed elaborati da Berne e dagli altri autori dell’Analisi Transazionale, farò un piccolo richiamo agli studi che dimostrano l’importanza delle carezze e del relativo scambio affettivo.

Fin dalla nascita, uno dei bisogni fondamentali del cucciolo d’uomo è il contatto, l’intimità fisica e la manipolazione. Questi stimoli, al pari della necessità del cibo, sono essenziali per uno sviluppo sano. Numerose sono le ricerche che hanno esaminato come la deprivazione sensoriale, sia nei bambini che negli adulti, provoca danni anche irreparabili [1]. Renè Spitz [2], psicoanalista di origine austriaca, dimostrava per primo che i neonati, se privati a lungo di stimolazioni fisiche, possono sviluppare forme psicopatologiche che, in casi estremi, arrivano fino alla morte. L’autore osservava che bambini, ospedalizzati oppure orfani, anche se ben nutriti, tenuti al caldo e puliti, sviluppavano problemi fisici ed emotivi in misura significativamente più alta del gruppo di controllo composto da bambini allevati dalle loro madri o da altri che si prendessero cura di loro con sollecitazioni tattili e sensoriali. I bambini del primo gruppo spesso venivano lasciati soli e soffrivano della mancanza delle carezze, del contatto fisico e delle coccole che normalmente i neonati ricevono dalle loro madri. I disturbi evolutivi, che avevano origine da una tale deprivazione, potevano spingersi fino ad una forma di patologia che Spitz denominava depressione anaclitica (sindrome dell’abbandono), per la quale il bambino poteva lasciarsi andare e deperire finanche alla morte. Del resto, il bisogno di stimolazioni fisiche non contraddistingue solo l’essere umano, ma anche gli altri animali; Harlow [3], difatti, dimostrava che costringere un neonato di scimmia all’isolamento significa decretarne la morte psicologica. Egli verificava che piccoli di scimmie, separati dalla madre, anche se nutriti artificialmente, avevano bisogno del contatto di una madre - calda e morbida - per crescere sani [4]. Le scimmie deprivate di contatto sociale dalla nascita, crescendo, si dimostravano aggressive e con gravi sintomi di disadattamento [5].

Eric Berne scelse il termine carezza, come l’unità di riconoscimento sociale, proprio per rievocare questo bisogno di contatto fisico degli infanti.


Con “carezza” si indica generalmente l’intimo contatto fisico; nella pratica il contatto può assumere forme diverse. C'è chi accarezza il bambino, chi lo bacia, gli dà un buffetto o un pizzicotto. [...] Per estensione, con la parola "carezza" si può indicare familiarmente ogni atto che implichi il riconoscimento della presenza di un'altra persona. [6]  


Da grandi, come sostiene l’autore, aneliamo ancora ad un contatto fisico ed anche se impariamo a sostituirlo con forme simboliche di riconoscimento, ci sentiamo deprivati se non riceviamo le carezze di cui abbiamo bisogno.

Tre sono le tipologie di bisogni fondamentali individuati da Berne [7]: - la prima è la fame di stimoli, ossia il bisogno di stimolazione fisica, sensoriale e mentale, di cui si è parlato sopra; la seconda è la fame di riconoscimenti o di carezze, questo bisogno di carezze, intese nel senso berniano sopra indicato, si affianca al primo con il progredire dello sviluppo psicosomatico; la terza è la fame di struttura, considerata l’estensione dei precedenti bisogni e che approfondiremo più tardi. Concentriamoci ora sulla seconda.

Da adulti le carezze, verbali e non verbali, con le quali riusciamo ad appagare il nostro bisogno di essere toccati e riconosciuti, possono essere rappresentate anche da dei complimenti, un sorriso, una stretta di mano, un’occhiata benevola etc. Tuttavia non esistono solo le carezze positive, ma esse possono essere anche negative ed esperite come spiacevoli, esempi sono le critiche, le umiliazioni, gli insulti, le frasi sarcastiche etc.

Può sembrare assurdo, ma un principio fondamentale che anima il comportamento degli esseri umani è che: qualsiasi tipo di carezza è meglio di nessuna carezza, ovvero il nostro bisogno di essere accarezzati è così importante che se non riceviamo sufficienti carezze positive, faremo in modo di avere almeno quelle negative. Crudeli esperimenti di laboratorio dimostrano che topi, sottoposti a dolorose scariche elettriche, crescono meglio di quelli che, soggetti ad identiche condizioni, non hanno alcun tipo di stimolazione [8]. Nei bambini è semplice verificare questo principio, se ci dedichiamo ad osservarli, possiamo accorgerci facilmente di quanto essi preferiscano escogitare sistemi per ottenere carezze negative piuttosto che rimanere nella totale indifferenza.

Nella tipologia delle carezze, si distinguono anche le carezze condizionate, da quelle incondizionate. Le prime si riferiscono a ciò che la persona ha fatto nel concreto, ad esempio: un complimento per un lavoro eseguito o, se negative, una critica su un particolare errore commesso; le seconde, invece, si riferiscono a ciò che la persona è, esempi sono: in positivo, affermazioni come: “Ti voglio bene” (perché sei tu), “E’ bello averti qui”; in negativo “Non ti sopporto!”, “Sei un incapace”. Si può osservare che nell’educazione dei figli, ma non solo, le carezze incondizionate positive contengono il messaggio “Tu sei OK”, donano una piacevole sensazione di benessere e favoriscono una crescita autonoma, al contrario, quelle incondizionate negative sono distruttive ed assolutamente inutili. Tornando ancora alle carezze condizionate, è utile considerare che, se sapientemente utilizzate, sono un utile strumento per insegnare comportamenti adeguati poiché agiscono come un rinforzo: quelle negative possono essere usate come critiche costruttive, che aiutano la persona a comprendere cosa c’è che non va nello specifico; quelle positive, invece, aiutano la persona a conoscere meglio le proprie capacità.

Non solo noi esseri umani ci accontentiamo delle carezze negative lì dove mancano quelle positive, ma in aggiunta a questo, fin da bambini impariamo ad utilizzare un filtro delle carezze, cioè preferiamo alcune carezze e ne svalutiamo altre in base alle nostre inclinazioni, ai modelli di apprendimento e alle nostre convinzioni personali, anche se questo può comportare una deprivazione dei nostri bisogni di riconoscimento [9].

Ma non è finita qui, non trovate evidente che le carezze che possiamo scambiarci nelle nostre relazioni interpersonali siano potenzialmente infinite? Eppure le analisi di Claude Steiner [10] portavano in luce che i bambini occidentali vengono allevati secondo una rigida Economia delle carezze, che segue cinque regole fondamentali:

  1. non dare carezze;

  2. non chiedere carezze quando ne hai bisogno o le desideri;

  3. non accettare carezze anche se le desideri;

  4. non respingere le carezze quando non le desideri, o anche se non ti piacciono;

  5. non accarezzare te stesso.

Con queste regole i genitori insegnano ai bambini che le carezze sono in quantità limitata, con il vantaggio di accentrare su di loro una sorta di monopolio [11] delle carezze: - i bambini hanno bisogno di carezze per crescere e ben presto imparano come ottenerle, e cioè comportandosi come mamma e papà vogliono. Inconsapevolmente gli adulti continuano a vivere secondo queste regole, ma il prezzo che pagano è quello di una vita parzialmente deprivata, con limitati scambi affettivi e un dispendio di energie alla ricerca di carezze ritenute erroneamente esigue. In tal modo il nostro bisogno di riconoscimento rischia perennemente di rimanere insoddisfatto.

E allora che fare? Innanzitutto, per imparare a scambiarci carezze in maniera autentica ed appagante, occorre darci il permesso di violare queste regole implicite. Gli Analisti Transazionali Wollams & Brown [12], per aiutarci in questo percorso, hanno elaborato dei suggerimenti preziosi e stimolanti, che meritano di essere citati integralmente:

Dare. Dare carezze è OK. Raramente si vizia qualcuno dandogli troppe carezze positive. Per i primi 18 mesi di vita, o giù di lì, si possono liberamente dare carezze positive ai propri bambini che le assorbiranno e diventeranno felici, ottimisti e avranno un corpo sciolto e sano; e questo sarà un piacevole aiuto per il resto della loro vita. Le carezze positive sono anche ben accette e desiderate anche da bambini più grandi: solo l’eccesso rallenta la crescita. Carezze positive date da amici, innamorati, dipendenti di lavoro e altri avranno come risultato un senso di benessere e piacevoli rapporti reciproci. Se si è aperti a queste carezze, vi sarà una tendenza a ottenere in cambio una quantità uguale a quella data. Molte persone desiderano dare carezze solo dopo averle ricevute dagli altri. Dando per primi si ottengono migliori risultati.

Prendere. Anche ricevere carezze è OK. Ce le meritiamo! Non si deve fare i difficili. Osservate come i neonati o i bambini piccoli non si preoccupano se la carezza è di prim’ordine o superlativa. Prosperano con qualsiasi cosa sia positiva e non si preoccupano neppure di dire grazie, ma solo di assorbire lentamente la carezza e di sentirsi bene. Quando dicono grazie, è segno che hanno ricevuto la carezza e non che volevano compiacere qualcuno. Gli adulti ben educati, che non sanno che è OK ricevere carezze positive, dicono velocemente grazie e si scrollano via la carezza o si irrigidiscono domandandosi cosa devono fare per restituire il favore. Una carezza data liberamente non obbliga a nessuna risposta. Se fa bene, prenditela, godila, senza cercare complicazioni!

Chiedere carezze. E’ OK anche chiedere carezze, e quelle che si ottengono domandandole hanno la stessa importanza di quelle date spontaneamente. Non dobbiamo aspettarci che la gente ci legga nel pensiero quello che desideriamo. Il neonato piange per ottenere il tipo di attenzioni che vuole e ne gioisce quando le ottiene. Questo sistema di chiedere direttamente ciò che si vuole aumenta al massimo le possibilità di ottenerlo, ed è un buon sistema per ogni età.

Rifiutare di dare carezze. Non si è obbligati a dare agli altri quello che vogliono. Quando si dà mentre in realtà non si ha voglia di farlo, non se ne ricava nessuna gioia e neppure l’altra persona si sentirà bene. Purtroppo quelli che danno carezze, sia quando desiderano che quando non lo desiderano, presumono che gli altri si comportino allo stesso modo, e così svalutano la maggior parte delle carezze che ricevono. Dai solo quello che desideri dare e aiuta a stabilire una onesta gestione delle carezze.”

Torniamo ora alla fame di struttura sopra accennata, vediamo che con essa Berne si riferiva alla necessità che ogni individuo ha di strutturare il tempo. Più la società è evoluta, più la struttura del tempo è importante, poiché non è più madre Natura a scandire il tempo con i suoi ritmi, ma l’essere umano vive costantemente immerso in una moltitudine di stimoli e per poter organizzare il proprio bisogno di contatto sociale, ha la necessità di definire delle strutture temporali in cui scambiarsi di carezze [13]. Berne descrive sei forme diverse di strutturazione del tempo:

  1. isolamento: si verifica quando siamo talmente assorbiti dai nostri pensieri e dalle nostre fantasie che ci estraniamo dagli altri. Può essere importante se vogliamo riflettere o ricaricarci, ma spesso rappresenta una scelta di ripiego con la quale ci blocchiamo dall’intraprendere ciò che realmente desideriamo;

  2. rituale: sono scambi in cui le persone si comportano in modo stereotipato e prevedibile, può essere molto breve come nei saluti esempio: “Ciao come stai?”, “Bene e tu?” o avere forme lunghe e complesse come nelle cerimonie religiose;

  3. passatempo: sono conversazioni più o meno strutturate, meno stereotipate dei rituali, che si focalizzano su argomenti relativamente innocui, ad esempio parlare di calcio, di cinema, si moda etc.

  4. attività: è diretta al raggiungimento di uno scopo e non al semplice parlare, di solito si tratta di un lavoro ma anche di un hobbie, il raggiungimento del risultato programmato è fonte di carezze;

  5. gioco: Berne definiva il gioco come “una serie progressiva di transazioni complementari ulteriori rivolte ad un risultato ben definito e prevedibile” [14]. Il gioco è una forma di comunicazione, uno scambio di carezze, reciprocamente distorto ed ingannevole, in cui l’amara sorpresa di entrambi i giocatori, è una sensazione finale di stupore e di spiacevolezza. Esso è costituito: da un inizio e da una sequenza ripetitiva di transazioni incongruenti tra il livello sociale (esplicito) e quello ulteriore (psicologico), da una fine e da un tornaconto che spinge i giocatori a partecipare. I giochi derivano da modalità relazionali apprese, in cui si continuano a riproporre strategie infantili per procurarsi carezze, tali strategie, non più efficaci ed adatte alla situazione attuale, hanno il vantaggio di garantire una certa quota di carezze che, sebbene prevalentemente negative (tornaconto biologico), evitano la noia e la inattività (tornaconto sociale) e confermano le proprie convinzioni copionali su se stessi, sul mondo e sugli altri (tornaconto esistenziale). I giochi comportano una sofferenza e possono essere abbandonati solo se la persona trova modi alternativi e sani di procurarsi carezze;

  6. intimità [15]: è uno scambio di carezze libero, sano ed autentico, in cui possiamo esprimere direttamente le nostre emozioni e i nostri pensieri. Non vi è una sorpresa finale, né uno sfruttamento reciproco, ma uno scambio profondo in cui ci sentiamo OK. Nell’intimità, anche se ci sentiamo vulnerabili, ci assumiamo personalmente il rischio e la responsabilità dell’esito dello scambio, invece, nel gioco ogni giocatore cerca di addossare all’altro la responsabilità dell’esito nefasto.


Gli Analisti Transazionali aiutano le persone a scambiarsi carezze nell’intimità, qui saranno più intense e piacevoli più che in qualsiasi altro tipo di strutturazione del tempo. Nell’intimità le carezze potranno essere sia positive che negative, tuttavia non sarà mai presente svalutazione, ma si attua uno scambio profondo e costruttivo verso una crescita personale. Accettare il rischio di una vera intimità significa dar luogo ad un incontro spontaneo ove le persone possono giungere liberamente ad un pieno contatto delle proprie potenzialità umane.

Dobbiamo interrogarci su quale tipo di vita vogliamo scegliere di vivere: una vita dettata dagli impedimenti di un copione limitante, o una vita piena di intimità e di carezze positive? Se abbiamo scelto la seconda alternativa, non ci resta altro che portare avanti la nostra scelta giorno dopo giorno, tenendo in considerazione che l’Analisi Transazionale, o altre forme di terapia psicologica, possono esserci d’aiuto. Congedandomi auspico al lettore e a me stessa il percorso più bello.


Bibliografia e note:

-->

[1] Solomon P., Leiderman P.H., Mendelson J., Wexler D. Sensory deprivation; a review. Am J Psychiatry. 1957 Oct;114(4):357–363; Zubek J.P. (1969). Sensory deprivation: Fifteen years of research. New York, Appleton-Century-Crofts; Stuart Grassian. Psychiatric effects of solitary confinement (PDF). URL consultato il 14-06-2009: www.prisoncommission.org/statements/grassian_stuart_long.pdf

[2] Renè Spitz, “Hospitalism, Genesis of Psychiatric Conditions in Early Childhood”, in Psychoanalytic Study of the Child, International Universities Press, New York 1945, I, 53-74; tr. It. Armando, Roma.

[3] Harry, F. & Harlow,H.F. “The Nature of love”, first published in American Psychologist, 1958, 13, 673-685.

In questo esperimento le scimmiette, separate dalla madre, venivano chiuse in gabbia con due sostituti materni: uno di peluche, caldo e morbido ma che non elargiva latte e l’altro freddo, metallico, che forniva latte. Le scimmiette dimostrarono di prediligere il surrogato di madre di peluche quando si sentivano minacciate e avevano bisogno di conforto, mentre ricorrevano al surrogato di madre metallico per soddisfare i bisogni alimentari. Il contatto fisico è dunque un bisogno primario ed indipendente dal mero soddisfacimento dei bisogni fisiologici.

[4] E’ doveroso sottolineare che le procedure etiche di questi esperimenti furono alquanto discutibili e oggi non sarebbero più replicabili.

[5] Harlow, H.F., & Harlow, M.K. (1967, gennaio). “The young monkeys” Phychology Today, pp.40-47.

[6] Eric Berne, "A che gioco giochiamo", Bompiani, Milano, 1967 (ed. orig. 1964), cit. pg. 16

[7] Eric Berne, “Ciao!... E poi?”, Bompiani, Milano, 1979 (ed. orig. 1972).

[8] Seymour Levine, “Stimulation in Infancy”, Scientific American, 202 (maggio 1960), 80-86.

[9] A tal proposito è utile diagrammare il Profilo delle carezze, che permette di riflettere sui comportamenti agiti nelle relazioni, sugli schemi appresi in famiglia e sullo stato di deprivazione che l’individuo vive rispetto ai suoi bisogni fondamentali. Per approfondimenti, si veda: Jim McKenna, “Stroking Profile”, Transactional Analysis Journal, 4, no. 4 (ottobre 1974), 20.

[10] Steiner, C., “The Stroke economy”, in Transactional Analysis Journal, 1, 3, (luglio 1971), pp. 9-15.

[11] Stewart, I. & Joines, V., “L’Analisi Transazionale”, Milano, Garzanti, 1990 (1987).

[12] Wollams, M. & Brown, S. (1978). “Analisi Transazionale”. Trad It.: Assisi: Cittadella, 1985. Cit. pg. 94-95.

[13] Mastromarino, R. & Scoliere, M. (1999). “Introduzione all’analisi transazionale – Il modello 101”, Roma, IFREP.

[14] Eric Berne, “A che gioco giochiamo”, Bompiani, Milano, 1967 (ed. orig. 1964), cit. pg. 55.

[15] Sebbene l’intimità è spesso collegata al sesso non bisogna pensare che sesso ed intimità si equivalgano. L’intimità riguarda relazioni più ampie, inoltre, il sesso può anche compiersi nell’isolamento o in un cerimonia rituale oppure può essere vissuto come un passatempo, come un’attività finalizzata al raggiungimento di qualcosa o, infine, può essere un gioco.




-->